Cosmopoliti di tutti i paesi

L’imperativo dell’ospitalità cosmopolita senza condizioni

 

 

La grande legge dell’ospitalità, questa Legge incondizionata, insieme singolare e universale, che comanderebbe di aprire le porte ad ognuno e ad ognuna, ad ogni altro, ad ogni arrivante, senza domande, senza nemmeno l’identificazione, senza chiedere da dove venga e che cosa sia”.

J. Derrida

 

 

Il filosofo francese Jacques Derrida (1930-2004)

 

 

 

Una nuova occasione editoriale

La mattina del 19 agosto 2019, è stato commentato su un programma di Rai Radio 3 un articolo comparso sul blog “DoppioZero”, dal titolo “Derrida a Riace” (17 agosto), nel quale l’autore suggerisce caldamente la lettura del piccolo saggio del filosofo francese dal titolo “Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo!” (Cronopio, Napoli, 2019).

L’articolo è stato sicuramente concepito seguendo l’onda emotiva delle ormai periodiche incursioni delle navi ONG, che cariche di “migranti” provano ad entrare nei porti italiani. Spesso anche senza autorizzazione.

Si tratta di una partita mediatica, nella quale le squadre giocano per portare a casa il risultato: convincere l’Opinione Pubblica di avere ragione sull’immigrazione di massa.

 

Accogliere sempre e comunque

Il messaggio proposto dall’autore dell’articolo riporta l’attenzione sull’etica dell’ospitalità, che risolve in quattro righe, affermando perentoriamente che “l’etica è l’ospitalità”.

L’autore se la prende con sceriffi e giustizieri che “inscenano un conflitto sociale, che si traduce in consenso politico”. Il problema è politico, mai sociale, sempre ideologico.

Naturalmente poi indica, tra parentesi, che il numero reale dei migranti in Italia è statisticamente irrilevante.

Il giornalista invoca un cambio di paradigma, perciò consiglia di leggere il pamphlet di Derrida, appena uscito in una nuova edizione (su varie piattaforme on line se ne trovano numerose copie di vari anni passati).

La filosofia cosmopolita può e deve essere un solido riferimento per la politica progressista italiana: l’Opinione Pubblica si deve fidare e non deve avere paura dell’immigrazione.

Infine, per sottolineare oltre ogni dubbio che la proposta cosmopolita è fermamente ideologica, il giornalista cita la sinistra italiana, povera di idee sul tema immigrazione, colpevole di inseguire le destre, tuttora indifferente al pensiero di “grandi” filosofi come il Derrida.

 

Il modello Riace

L’esperienza immigrazionista di Riace risplende a metà dell’articolo come un fulgido esempio di accoglienza cosmopolita. Riace è l’esempio più genuino della “città-rifugio” auspicata dal filosofo Derrida nel suo breve saggio.

Per dovere di cronaca, si deve ricordare che il “modello Riace” è stato posto sotto inchiesta dalla Magistratura, le indagini hanno appurato gravi irregolarità da parte del suo protagonista, evidenziando come il Cosmopolitismo pratico sia ben lontano dall’essere positivamente realizzato.

 

Il protagonista del modello Riace, insieme ad alcuni simpatizzanti

 

Le tappe del caso Riace

Analisi del modello Riace

Inchiesta su Riace

 

Cosmopoliti di tutti i paesi

Abbiamo letto anche noi l’intervento del filosofo francese Jacques Derrida (1930-2004), a favore del Cosmopolitismo.

Dal 1997, anno della sua prima uscita, questo pamphlet ritorna periodicamente per rimpolpare e/o “rinnovare” le motivazioni del movimento cosmopolita (e diciamo pure “globalista”). I temi sono sempre gli stessi: l’eliminazione di ogni frontiera, di ogni controllo al passaggio di chiunque; lo slancio è sempre a favore della solita propaganda terzomondista e immigrazionista.

Anche il filosofo Derrida fece leva sul moralismo filantropico, sul pietismo momentaneo.

 

Cosmopolitismo e “città-rifugio”

Derrida collega il Cosmopolitismo all’ambiente urbano (pag. 11), ponendo la riflessione sulla necessità delle città rifugio in correlazione al diritto internazionale. D’altronde, il senso dell’esistenza delle città, e delle “città-rifugio” in particolare, è il diritto d’asilo o del dovere di ospitalità.

Una nuova cosmopolitica (politica planetaria) pare essere necessaria, entro la quale chiedere a gran voce l’istituzione di numerose “città-rifugio”, autonome le une dalle altre ma soprattutto dagli Stati, alleate tra loro sulla base di solidarietà da definire.

Il filosofo francese invita le diverse “città-rifugio” ad accogliere chiunque (rifugiato, deportato, immigrato, apolide, profugo), nonché a cambiare la politica degli stati e il modo in cui si appartiene ad essi. La sovranità statale finisce per essere superata, obsoleta e da abbandonare (pag. 12).

Se ci riferiamo alla città piuttosto che allo Stato, è perché speriamo da una nuova figura della città ciò che quasi rinunciamo ad attenderci dallo Stato” (pag. 14). Derrida e i suoi seguaci si attendono dalla città il dovere all’ospitalità garantito a chiunque, nonché il diritto all’ospitalità generalizzato (pag. 13).

Per sostenere la riflessione sul diritto di ospitalità, Derrida rievoca Hanna Arendt (pag. 15), che nel saggio “Le origini del totalitarismo” (Edizioni di Comunità, Milano, 1967), pubblicato nel 1951, analizzò la storia dei “senza stato”, degli apolidi, dei rifugiati, dei profughi creati dopo la Grande Guerra. Anche per Derrida il diritto d’asilo è il più importante dei diritti dell’Uomo in campo internazionale.

In secondo luogo, la Arendt evidenziava che nel primo dopoguerra, le autorità nazionali rinunciarono a ricorrere ai rimedi del rimpatrio o della naturalizzazione per coloro entrati come profughi (pag. 16).

 

Omogeneità culturale

L’istituto della “città-rifugio” sarebbe, per Derrida, la soluzione ideale al problema dell’afflusso di rifugiati, apolidi, immigrati di qualunque genere, perché garantirebbe ospitalità sulla base della sovranità della stessa città, sovranità non più nazionale. Proprio perché il diritto internazionale si attua solo tra gli Stati sovrani, Derrida spinge per un governo mondiale al di sopra degli stessi stati (pag. 17).

Da buon cosmopolita, anche l’eminente filosofo francese salta a piedi pari il problema destato dalla cultura di riferimento: rifugiati, apolidi di varia provenienza sono custodi di usi, costumi e di culture potenzialmente non compatibili con quella che li ospita. Un ipotetico governo mondiale dovrebbe presupporre una certa omogeneità culturale, per evitare attriti e scontri di vario genere.

 

La legge morale

Nel biennio 1996-1997, Derrida osservò la diminuzione delle possibilità di ottenere asilo politico in Francia, al pari dell’ingrandimento del contesto di emergenza internazionale. Il problema era ravvisabile nelle motivazioni che sostenevano la concessione dell’asilo: di sicuro non etiche, carenti del senso di ospitalità, lontane dalla legge morale (pag. 19).

Infatti, le maglie all’ingresso si sono fatte più larghe nei momenti di necessità di lavoratori immigrati.

Con la Convenzione di Ginevra del 1951, è stato incluso nel diritto d’asilo il rifugiato politico, per cui i beneficiari dovettero dimostrare di essere stati perseguitati per razza, religione, opinioni politiche. Derrida lamentò il fatto che quel testo fosse ampiamente lontano dal Cosmopolitismo di Kant, composto nel saggio “Per la pace perpetua” (1795) (per un approfondimento, rimandiamo ai nostri contributi: “Introduzione al Cosmopolitismo” e “Lo straniero nel pensiero cosmopolita”).

Il diritto all’ospitalità rientra nella concessione morale che ogni Stato Nazione sovrano nel proprio territorio nega a chiunque. In questo senso, Derrida scrisse “In realtà, se la tradizione giuridica resta ‘meschina’ e restrittiva, è perché è comandata dall’interesse dello Stato-nazione che accoglie e concede asilo. Lo statuto di rifugiato non è quello dell’immigrato in generale, nemmeno dell’immigrato politico” (pag. 21).

L’apertura completa delle frontiere nazionali, l’eliminazione del controllo su coloro che entrano in uno Stato è esattamente ciò che desiderano il filosofo Derrida e tutti i simpatizzanti del Cosmopolitismo globale (e globalista).

 

Uno slancio sociale inaspettato

E’ un fatto assodato che il piano sociale relativo all’accoglienza degli stranieri sia ignorato dai grandi pensatori cosmopoliti. Pertanto, potrebbe risultare sorprendente leggere Derrida invocare l’attenzione del pubblico verso l’importanza di un lavoro per l’immigrato cosmopolita (pag. 22).

Manca, nella maggioranza dei casi nazionali, un progetto di inserimento professionale dei nuovi arrivati, proprio perché – affermò Derrida – il dibattito si ferma alla distinzione tra economico e politico, ovverosia il riconoscimento del migrante come economico o politico. Nessuno se ne fa carico istituzionalmente, tranne qualche opera caritatevole locale.

Se una fazione politica si oppone ai porti aperti, l’altra fazione antagonista apre quei porti pavoneggiandosi di averlo fatto, ma poi si dimentica di chi è entrato e non si cura del suo destino.

 

Città-rifugio ed etica dell’ospitalità

L’ospitalità è la cultura stessa e non è un’etica fra le altre” (pag. 27). Derrida dichiarò con decisione che l’ospitalità non può essere mai negata, proprio perché essa è etica in quanto tale; ogni altro modo di considerare l’ospitalità è violenza, poiché si presume che si cerchi di controllare “l’altro”, distorcendo la legge dell’ospitalità.

Da qui nel testo, inizia un’accorata difesa dell’istituto dell’ospitalità, che va a prenderne gli elementi nella tradizione storica occidentale.

La “città-rifugio” compare già nella Bibbia, chiamata nello specifico “città di rifugio o di asilo”, istituita da Mosè dietro richiesta esplicita di Dio (pag. 28). Nei tempi successivi, Derrida riconobbe a Strasburgo il primato di prima città-rifugio d’Europa, “generosa città di frontiera” la chiama. Il filosofo francese insiste nel sottolineare che durante il Medioevo, le città (senza un ulteriore specifica) potessero vantare una certa sovranità decisionale in merito alla concessione dell’ospitalità.

Senza fare alcun tipo di domanda, senza identificare chi si presenta alle porte, le città-rifugio accoglierebbero chiunque, senza frontiere, senza limiti (pag. 29).

 

Infine, Kant

La città-rifugio rientra naturalmente nella tradizione cosmopolitica, dalle radici stoiche greche e cristiane (S. Paolo) rinnovate poi da Kant alla fine del XVIII secolo.

Anche l’eminente filosofo tedesco parla dell’ospitalità universale (pag. 31).

Per Kant si tratta di un diritto naturale, per giungere alla pace perpetua, quindi il diritto è a vantaggio di chiunque, in quanto cittadino del mondo (cosmopolita). Egli sottolinea che “tutte le creature umane, tutti gli esseri finiti dotati di ragione hanno ricevuto in una fraterna spartizione il ‘comune possesso della superficie della terra ’ “(pag. 32).

E’ il punto teorico di riferimento del cosiddetto globalismo, che taluni hanno anche distorto in mondialismo, finendo per schierarsi pro o contro la ormai famosa globalizzazione del mondo contemporaneo.

 

Quello che i cosmopoliti non dicono

Derrida, Beck, Appiah, Ben Habib e altri hanno chiesto e chiedono l’annullamento delle frontiere, la libera circolazione di chiunque, principalmente dal Terzo Mondo verso l’Occidente. L’impianto teorico proposto rimane sempre il diritto cosmopolitico all’ospitalità universale proposto da Kant nel 1795.

Lo slancio dei filosofi cosmopoliti contemporanei si ferma, tendenzialmente, dove inizia il sociale, ossia dove si manifestano (e si osservano) i rapporti interetnici, le comunicazioni interrazziali (secondo la tradizione antropologica e sociologica statunitense).

I cosmopoliti non si occupano dei progetti sociali di integrazione abitativa, comunitaria, professionale; essi non considerano gli incontri/scontri culturali, le differenze dei diversi usi e costumi di cui sono portatori i migranti cosmopoliti.

Essi, così come certi giornalisti che si dichiarano democratici, amano la babele multiculturale senza averne esperienza diretta, spesso rimangono chiusi nei loro campus universitari, nelle loro redazioni giornalistiche, non si recano nei quartieri popolari e nei ghetti etnici a osservare le interazioni sociali tra autoctoni (nativi) e immigrati.

 

Ospitalità senza approfondimento

Nei tempi recenti, numerosi divulgatori si sono impegnati a diffondere sui media un messaggio esplicitamente rassicurante, volto a convincere la cittadinanza ad accogliere chiunque senza limiti, senza approfondire le conseguenze delle politiche cosmopolite.

 

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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