Storie senza contenuto
Un invito a cena
Forse è capitato ad altri di partecipare a una cena con vari commensali e poi di trovarsi in imbarazzo incontrandole dopo qualche giorno. Non abbiamo avuto di fronte situazioni sconvenienti, ma veri e propri capovolgimenti di fronte.
Durante la cena, i commensali si sono dimostrati di buona compagnia e “amichevoli”, facendoci passare una felice serata.
Dopo qualche tempo, abbiamo incontrato di nuovo quelle persone, in modalità diverse in tempi diversi: alcune hanno confermato la conoscenza creata durante la cena; altre invece non hanno confermato nulla; altri ancora si sono dimostrati scocciati.
Ci è risultato lecito ragionare sul contenuto del primo incontro: paragonato al secondo siamo giunti alla conclusione che il primo fosse un esempio di finta relazione.
La finta relazione
Si crea il gioco delle parti, in un contesto di incontro e di relazione. Si aprono dei dialoghi fra le persone presenti, siamo consci della buona usanza di non escludere nessuno. Sorrisi e strette di mano, modi accoglienti, l’osservazione della metodologia d’ingresso alla relazione (sociale) ci permette di raccogliere elementi sulla sua veridicità.
Abbiamo vissuto degli episodi in cui alcune persone sono state ignorate o escluse o estromesse direttamente dalla comunicazione individuale (e di gruppo). E’ un caso limite che dimostra, inequivocabilmente, i veri sentimenti di chi ha agito in quel modo.
Nei casi normali, diventa difficile stabilire subito se le persone presenti si stanno comportando in modo sincero, oppure se stanno fingendo. Le persone mascherano aspetti del proprio sé e lasciano trapelare solo le impressioni che interessano dare: ossia far credere qualcosa di sé agli altri (Goffman).
Narrazione
La relazione con una persona racconta una storia, bella o brutta, piacevole o difficoltosa. Ci aspettiamo che la relazione sia vera, reale, genuina, sincera, costruita con fatti, episodi di vita comune. Al contrario, una relazione finta è un racconto illusorio, irreale, senza veri contenuti. Essa si basa su fatti inventati, su bugie.
Se ci appoggiamo a una prospettiva maggiormente tecnica, la finta relazione si può accomunare alla scena teatrale: un racconto allestito sul palcoscenico davanti a un numero variabile di spettatori.
La scena teatrale narra una storia finta o vera, simile al reale oppure ingannevole. Il teatro è una simulazione della vita umana, perciò sociale, che tratta argomenti ed episodi. Il teatro è recitazione.
Le finte relazioni sono messinscene, che sul momento sono difficili da distinguere e scoprire, ma che in seguito risultano lucide, evidenti, palesi.
Comunicazione artefatta
La relazione finta si regge su un tipo di comunicazione non sincera. In un dato momento, la persona A comunica alla persona B contenuti in modalità cordiale, di amicizia. In seguito, la persona A comunica alla persona B un diverso contenuto, antitetico al precedente: non conferma la relazione (disconferma), ritratta, evita, ignora, ha modi non gentili.
Qualcosa è cambiato nell’arco temporale, oppure la persona A fin dall’inizio non è stata sincera?
Il nostro suggerimento è di attenerci ai fatti: dobbiamo considerare l’ultima versione comunicata dal nostro interlocutore.
Uno strano cenno di saluto
Il saluto è un rituale preciso, che introduce la comunicazione tra le persone. Essendo esso parte integrante della comunicazione, ne condivide gli stessi fattori: messaggio, mittente e ricevente, quest’ultimo dovrebbe fornire una prova di ricezione anche chiamata “feedback”. Le incomprensioni si riferiscono a ostacoli impiantati in un qualsiasi punto del percorso comunicativo. Il saluto non fa eccezioni, anzi potremmo considerare il suo corretto svolgersi come imprescindibile per il successo della più ampia comunicazione, che si andrebbe ad iniziare.
Abbiamo spesso osservato una pratica di saluto piuttosto strana: l’individuo saluta qualcuno con la mano volgendo il suo sguardo altrove, lontano dal ricevente, non si cura del “feedback” relativo. Il ricevente si trova nella scomoda posizione di non sapere cosa fare:
a) rispondere al saluto con un cenno della mano non avrebbe esito, l’altra persona sta guardando altrove;
b) non rispondere potrebbe essere valutato come scortesia dal pubblico che assiste.
Talvolta abbiamo assistito alla soluzione c) ossia: il ricevente grida forte il suo saluto di risposta. Si tratta di una soluzione non sempre praticabile, visto che attira l’attenzione di chiunque.
Tale strana pratica di saluto non sarebbe applicata a persone che l’individuo emittente reputa importanti (amici, colleghi e superiori). Abbiamo notato che l’individuo utilizza largamente lo strano cenno di saluto verso conoscenti, avventori, persone che considera di poco conto.
«Gli individui sono più propensi a inviare sguardi a persone che preferiscono piuttosto che a persone che non preferiscono, ma è necessario ripetere che questa differenza è interpretata in modo corretto dagli individui senza bisogno di un particolare addestramento» (Danziger, 1982).
Secondo la nostra interpretazione, lo strano cenno di saluto rientra nel trattamento delle finte relazioni.
L’amico di gomma
Ai tempi dell’università, era di uso comune l’espressione “amico di gomma” per indicare una persona che manifestava cordialità e amicizia, ma era solo apparenza. Alla prova dei fatti, “l’amico di gomma” dimostrava di essere un semplice conoscente, un opportunista. In generale, egli recita una parte, inscena una relazione d’amicizia, fingendo.
Esempi relazionali sono stati i prestiti di libri e appunti delle lezioni, inviti a cena (forzati), passaggi in auto, favori mai ricambiati (sono elementi da parassita sociale).
Dal punto di vista sociologico, l’espressione “amico di gomma” non ha rilevanza, soprattutto per certi accademici di alto livello più interessati alle teorie astratte. Per chi invece si confronta realmente con il sociale, quella espressione è del tutto significativa. Relazionarsi con un individuo che finge di essere un amico pone incognite non trascurabili alla propria vita sociale (socialità).
Dentro il contesto parrocchiale
Frequentando una parrocchia ci si aspetta di trovare un alto grado di sincerità dai partecipanti alla comunicazione, fatto che non si è avverato nella maggioranza dei casi che abbiamo osservato.
I gruppi (famiglia) sono impermeabili, trattano gli esterni usando finte relazioni. Si parla tanto di accoglienza, ma alla prova dei fatti se non si è presentati e sostenuti dalla “conoscenza” di qualche individuo portante del gruppo, si resta sostanzialmente fuori.
Recentemente, abbiamo partecipato a una serata conviviale presso il campetto sportivo di una parrocchia di periferia. Il convivio offriva uno spuntino e torte fatte in casa. La partecipazione era formalmente aperta a tutti, previa una telefonata per comunicare il numero di chi si sarebbe presentato. Sul luogo, abbiamo trovato i frequentanti dei due ambienti parrocchiali che visitiamo abitualmente. Conoscendo un buon numero di persone, siamo stati occupati in varie conversazioni. Persone non direttamente conosciute si sono aggiunte ai dialoghi, con modi sorprendentemente amichevoli. Abbiamo percepito più della cordialità di rito, abbiamo avuto l’impressione di essere accolti nel gruppo.
Dopo dieci-quindici giorni, abbiamo incontrato nuovamente le stesse persone sul piazzale della chiesa, di domenica. Un buon numero di quelli ci ha ignorato o evitato, come se fossimo dei perfetti estranei, come se il convivio e le conversazioni nel campetto sportivo non ci fossero mai stati.
Si è trattato di un episodio del tutto spiazzante, che ha richiesto una riflessione.
Fuori dal contesto parrocchiale
Con il necessario distacco, siamo giunti alla conclusione di essere stati oggetto di finte relazioni. I saluti calorosi, le strette di mano, le lunghe conversazioni, i buoni propositi sono stati pura finzione. Questa comunicazione è stata prodotta solo da alcuni, non dalla totalità delle persone incontrate.
Riteniamo che i protagonisti della finzione si siano aggiunti ai veri interlocutori per non sembrare scortesi, per la buona riuscita del convivio. Ad ogni buon conto, la narrazione di quella serata è un contenuto corrotto, uno “storytelling” adulterato.
Immagine del gruppo
Nel contesto del convivio, il gruppo ha agito in modo coerente, tutti i membri hanno recitato la stessa parte senza passi falsi. C’è un tacito accordo per cui tutti gli attori coinvolti devono rispettare la coerenza di comportamento, devono rispettare l’immagine positiva che il gruppo desidera di sé. E’ la stessa immagine che il pubblico attribuisce al gruppo, che il pubblico si aspetta.
Nel caso che un membro agisca non coerentemente (ad esempio sconfessi affermazioni e atteggiamenti consensuali), i membri più influenti del gruppo potrebbero riportarlo alla ragione con gesti o parole (condizionamento morale); oppure potrebbero abbandonarlo silenziosamente alla mercé dell’interlocutore offeso. Uno dei membri si è lamentato platealmente della noiosità (a parer suo) della conversazione da noi intavolata, gli altri partecipanti non lo hanno sostenuto, quindi abbiamo dovuto fargli capire in modo diretto di aver parlato a sproposito.
«Lealtà e disciplina, nel senso drammaturgico di questi termini, sono attributi richiesti ai componenti dell’equipe per la messa in scena dello spettacolo. (…)
In altre parole, nell’interesse dell’equipe si richiederà che gli attori usino prudenza e circospezione nel mettere in scena lo spettacolo, preparandosi in anticipo a possibili contingenze e sfruttando le possibilità che rimangono» (Goffman, 1969).
A convivio terminato, fuori dal contesto di gruppo, ognuno dei membri si è comportato da battitore libero: chi ha recitato la finta relazione si è smascherato da solo; chi è stato sincero ha confermato la relazione genuina.
Le relazioni pericolose
Lo scrittore francese Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos pubblicò nel 1782 un romanzo che diventò un classico della letteratura francese: “Le relazioni pericolose”.
Nel 1988 uscì nelle sale una trasposizione cinematografica diretta dal regista Stephen Frears, che ottenne il plauso di critica e di pubblico.
La storia narra i sotterfugi creati per sfida dai due protagonisti, il visconte di Valmont e la marchesa de Merteuil. Il primo scommette di riuscire a sedurre numerose donne della scena sociale nobiliare, la seconda lo fomenta proponendo sfide sempre più libertine. La sostanza che a noi interessa riguarda la modalità di raggiungimento degli obiettivi dei protagonisti: instaurare e alimentare relazioni finte.
I protagonisti dimostrano di essere abili conoscitori della psicologia umana e dei contesti sociali in cui vivono, allacciano relazioni al solo scopo di vincere la sfida. Dopo aver raggiunto il risultato, le controparti delle relazioni vengono abbandonate. L’aggettivo pericolose del titolo si riferisce alle possibili conseguenze delle varie sfide relazionali.
L’autore ha raccontato come certi individui giochino con le vite e le relazioni altrui per noia, per sfida, per un vantaggio personale. Aggiungiamo noi che le finte relazioni dimostrano un lato anti-sociale di coloro che le usano.
La commedia pubblica
Assistiamo quotidianamente a relazioni costruite a tavolino che si basano su apparenze, riflettori, convenienze.
Alla prova dei fatti, ovverosia una verifica a posteriori, si smontano dimostrandosi senza sostanza. Si vedano le relazioni tra attori, artisti, cantanti eccetera, presentate su giornali, TV, siti di gossip.
Sui vari canali di musica guardiamo video di artisti che propongono musica finta creata al computer, si vestono in modo finto, indossano unghie finte, portano capelli finti, fanno finta di cantare, fanno finta di avere una diversa identità dalla propria.
Lo stesso accade nella vasta programmazione di intrattenimento, dove compaiono personaggi noti e meno noti, che raccontano le loro storie e le loro vicissitudini sociali. E’ una narrazione che appare artificiale, poco credibile, incorniciata da assunti politicamente corretti.
Qualsiasi spettacolo televisivo non può permettersi imprevisti, tutta la narrazione deve essere sotto controllo della regia e del conduttore, tutti gli attori devono attenersi al copione loro assegnato. Le prove servono a preparare lo spettacolo, a far si che gli attori non vadano fuori dal seminato.
Guardiamo individui (spesso paradossali) raccontare finte relazioni, che si rendono protagonisti di una messinscena, che si dedicano alla recitazione sociale.
Lo spettacolo del sociale
Quando è in pubblico, ognuno racconta una storia personale o collettiva (con probabile arroganza se parla per altri). Ogni racconto andrebbe verificato, per sapere se il narratore è sincero. Lo stesso meccanismo dovrebbe valere per le relazioni, perché quelle finte potrebbero celare pericoli di varia entità.
L’esempio estremo riguarda l’adescatore di minorenni su internet, che intesse relazioni fittizie con terribili obiettivi.
Spesso le persone costruiscono storie di relazioni da mostrare in pubblico, facendo finta di essere amico/a di qualcuno, per avvicinare un personaggio di rilievo, per ottenere un lavoro, per vendere un prodotto o un servizio, per realizzare una truffa, per fare del male a qualcuno. Oppure semplicemente per salvare le apparenze, per dimostrarsi affabile, socievole, per non rovinare la serata ai suoi invitati più prestigiosi, per conservare la buona immagine del gruppo cui appartiene.
Il lascito di una relazione finta
Se consideriamo il grande piacere per la socievolezza altrui e il favore creato da una significativa relazione, scoprire che invece si è trattato di finzione si rimane con una grande delusione. La rima non è voluta, pure quella crea un certo imbarazzo.
Davanti a una relazione finta cresce in noi un particolare senso di solitudine, variabile sulla base della gravità della situazione.
Quale credibilità ottiene una persona che non rispetta la relazione con gli altri?
Potremmo chiederci quali sono i reali motivi che spingono alcuni individui a creare false relazioni, con sconosciuti oppure con semplici conoscenti.
Riferimenti e letture
E. Goffman, “La vita quotidiana come rappresentazione”, Il Mulino, Bologna, 1969
B. Valli, “L’interazione comunicativa”, Quattroventi, Urbino, 1996
K. Danziger, “La comunicazione interpersonale”, Zanichelli, Bologna, 1982
F. Nanetti, “La comunicazione trascurata”, Armando, Roma, 1996
T. Grandin, S. Barron, “Le regole non scritte delle relazioni sociali”, Uovo Nero, Crema (CR), 2014
M. Mizzau, “Prospettive della comunicazione interpersonale”, Il Mulino, Bologna, 1974
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