Usare la gentilezza

Gentilezza

Comunicare usando la gentilezza

 

Gentilezza Cortesia
Comunicare con gentilezza, fin da bambini.

 

«Chiedere è lecito, rispondere è cortesia»

(proverbio popolare)

 

Un valore antropologico

«La gentilezza e la compassione sono elementi essenziali che danno un senso alla nostra vita. Costituiscono una sorgente duratura di gioia e felicità. Sono il fondamento di un cuore generoso, il cuore di chi agisce per il desiderio di aiutare gli altri. Con la gentilezza, e quindi con l’affetto, l’onestà e la giustizia verso tutti, ci assicuriamo il nostro stesso vantaggio. E’ una questione di buon senso.

A un livello elementare e pratico, la gentilezza genera un senso di calore e di apertura che ci permette di comunicare più facilmente con gli altri.

Inoltre, è ormai assodato, che coltivare stati mentali positivi come la gentilezza e la compassione migliora la salute e porta alla felicità» (Dalai Lama, 2004).

 

Un bene di cui non si parla

Ricevere un atto gentile è un fatto molto piacevole. Basta ricevere la telefonata di un amico, che chiede notizie sul nostro stato di salute, per dare un contenuto positivo a una parte della giornata.

Essere gentili con chiunque crea uno stato di benessere. Una vecchia retorica parlava di “buon’azione”. La ricerca psicologica ha verificato che gli atti di gentilezza migliorano la vita di chi li compie.

«…le persone gentili sono più sano e longeve, più benvolute e produttive, hanno più successo negli affari, risolvono i conflitti con più facilità e si sentono più felici. Le persone gentili vivono una vita di qualità più elevata e finiscono per essere le più forti» (P. Ferrucci, 2005).

Essere gentili non è un atto egoistico a danno degli altri, piuttosto è l’autopoiesi della migliore comunicazione umana. E’ un bene di cui, in effetti, non si parla. Le cronache si occupano più di fatti negativi, violenza, furto, raggiro, corruzione, che di buone azioni.

 

La realtà quotidiana

Evitiamo quel negozio del centro perché c’è una commessa poco gentile. Abbiamo cambiato panetteria perché la cassiera è a dir poco antipatica.

Un’amica è molto preoccupata perché alcuni suoi colleghi la trattano in modo scontroso, con poco rispetto.

Il ragazzino nostro vicino di casa non frequenta più il campetto del vicinato perché lì trova sempre un coetaneo che lo tratta male.

«Chi parla deve rendersi conto che ciò che sta per dire può essere potenzialmente minaccioso per i sentimenti di chi ascolta e deve anche saper valutare quanto grave sia tale minaccia» (Axia, 1996).

C’è un tratto comune in questi casi appena descritti: l’assenza (o mancanza) di gentilezza.

 

Gentilezza cortesia
La gentilezza è assente

 

Parlarne in negativo

Se e quando parliamo di gentilezza, spesso lo facciamo sottolineandone l’assenza. Parimenti, rimaniamo sorpresi davanti a una persona genuinamente gentile. Fare statistiche attendibili riguardo al numero delle persone gentili è parecchio complicato, pertanto ci affidiamo all’osservazione quotidiana.

Ogni luogo è adatto alla ricerca della gentilezza. Abbiamo delle aspettative: aspetto dolente delle relazioni umane. Incontrare sconosciuti o semplici conoscenti ci permette di valutarne il comportamento. Ci aspettiamo forse di essere trattati con rispetto, meno con cortesia meno con gentilezza.

Nella frequentazione di famigliari e amici ci aspettiamo gentilezza oltre a rispetto. Sono numerosi i casi in cui le aspettative rimangono disattese.

 

Marchio di debolezza

Essere gentili con gli altri è talvolta considerato sintomo di debolezza. Più volte abbiamo ascoltato consigli che portavano ad azioni energiche, o peggio brutali, per ottenere attenzione dal nostro interlocutore.

Che si debba trattare con l’impiegato pubblico o col maleducato di turno per strada in città, sembra che la prassi vigente sia usare la loro stessa modalità al contrario della gentilezza.

«Ti devi fare valere!» o frasi simili abbiamo sentito rivolgere persino ai bambini, che si affacciavano alle relazioni con i coetanei. Siamo quindi di fronte ad approcci scortesi mirati all’ottenimento di obiettivi, non tesi alla creazione di proficue relazioni interpersonali.

 

Comunicare in modo positivo

Cortesia e gentilezza sono modalità di comunicazione, sono sistemi di gestione delle relazioni sociali di segno positivo. La persona gentile usa le parole in modo appropriato, manifestando con ciò attenzione ed empatia verso coloro che incontra.

La gentilezza fornisce un vantaggio evolutivo, ogni qual volta si debba interloquire con persone di diverso atteggiamento. Essa è un metodo di comunicazione alquanto efficace, il cui utilizzo è una manifestazione di intelligenza e non di debolezza.

 

Forme di cortesia e gentilezza

Può essere sorprendente notare come cambiano atteggiamento le persone quando si sentono rivolgere parole ed espressioni appropriate come “buongiorno”, “per cortesia”, “mi scusi”, “grazie” e “prego”.

Con semplici parole, riusciamo a mettere a proprio agio le persone con cui ci relazioniamo, siano essi amici o sconosciuti. Sono le parole della gentilezza, modalità positive di comunicare con gli altri.

La gentilezza/cortesia ammorbidisce il nostro interlocutore, toglie ogni appello alla provocazione.

Grazie alle parole giuste, riusciamo a dissolvere l’eventuale ostilità di chi affrontiamo. Basta poco per innescare uno scontro verbale, che porterebbe facilmente alla manifesta ostilità reciproca.

Al di là della facile retorica, usare la gentilezza crea equilibrio e armonia tra le persone.

«La cortesia, per quanto possibile, tiene le persone in uno stato di buon umore e benevolenza e così diminuisce i rischi di scoppi di aggressività. La cortesia può servire a ridurre l’imprevedibilità e il rischio delle interazioni sociali, con il suo bagaglio di ben collaudate regole e formule “pronte all’uso”» (Axia, 1996).

 

Trattare bene chi si ha di fronte

Sembra pedanteria ma in realtà non lo è, usare la gentilezza quando si interagisce con altre persone è una strategia sociale che mira a creare un buon clima. La gentilezza come onesta strategia comunicativa serve a costruire rapporti positivi, ma soprattutto proficui per tutte le parti.

Fare visita a parenti scortesi, a conoscenti poco o per nulla gentili condiziona la propensione futura a ripetere quelle visite. Se non si è gentili con gli altri, non si può pretendere di essere trattati bene sempre e comunque.

Avere di fronte un insegnante gentile, che mette a proprio agio studenti e relativi genitori, facilita di molto la relazione reciproca.

Le persone gentili manifestano la loro inclinazione a una sana interazione, al rispetto degli altri, inoltre guadagnano fiducia e stima da chi li incontra. Senza una sana comunicazione è difficile collaborare.

Essere cortesi è, in concreto, una manifestazione di intelligenza e competenza relazionale.

 

Gentilezza formale

Non possiamo dimenticare i casi in cui taluni individui si servono della gentilezza in modo estremamente formale, arrivando allo snobismo.

La gentilezza formale serve a tenere alla larga le persone indesiderate, di qualunque categoria esse siano. La formalità della comunicazione taglia di netto l’interazione, stabilisce una distanza, allontana l’interlocutore. Gli snob usano con grande abilità la gentilezza formale, quale fosse un arma relazionale nascosta dietro un sorriso beffardo. In quei casi, si opera una disconferma ossia la negazione dell’altro (L. Canuti, A. M. Palma, 2017).

Non è vera cortesia, poiché non ha l’obiettivo di rispettare la persona nel qui ed ora. La gentilezza formale si manifesta spesso sul luogo di lavoro, manifestando caratteri commerciali.

 

Gentilezza commerciale

«Il “peso” che regola la cortesia è dato dal potere del parlante sull’ascoltatore, più la distanza sociale fra i due, più il costo dell’atto linguistico in sé» (Axia, 1996).

Non è strano né infrequente che un dirigente/un capoufficio/un caporeparto si rivolgano al loro subordinato in modo brusco.

Un osservatore particolarmente attento può registrare quale tipo di libertà si prendano le persone dotate di potere verso coloro che stanno più in basso nella scala gerarchica. Gli stessi dirigenti e quadri pretendono di essere trattati con cortesia e grande rispetto.

Un operaio e un impiegato non dimenticano mai la loro posizione davanti ai superiori, sanno che non possono prendersi le stesse libertà.

Il commesso avveduto e lo scaltro agente commerciale trattano con estrema cortesia i loro clienti, sicuramente non perché nutrono per essi affetto sincero.

In quei casi osserviamo la gentilezza commerciale, detta anche deferente, metodo comunicativo utile all’ottenimento di obiettivi sociali e professionali.

In estremo, potremmo pure annoverare nell’elenco la straordinaria gentilezza sfoderata dai bambini, quando tentano di convincere i genitori ad acquistare loro un giocattolo desiderato.

Da ultimo, sottolineiamo che non ci sono pervenute notizie di persone che sono state sgarbate e scontrose con il proprio dentista.

 

Cafone e maleducato

I tempi attuali presentano a tutti modalità di interazione che tendono più alla volgarità che alla gentilezza. Ecco di nuovo il nostro assunto introduttivo: la gentilezza in quanto assente.

Il mass media simbolico per eccellenza, la televisione, ha veicolato e sdoganato esempi di maleducazione sempre più incisivi. I film e i telefilm americani sono farciti di parolacce e violenza senza ormai più limiti. Anche nei programmi generalisti nostrani, sono ben tollerati atteggiamenti scortesi tra i protagonisti, talvolta anche di violenza verbale perché aumentano l’audience.

Al bar, al ristorante, al parco, per strada è facile imbattersi in comportamenti maleducati da parte di sconosciuti, a vario titolo.

Lungi dal volere imporre classificazioni arbitrarie nel ragionamento sulla gentilezza, riteniamo necessario guardare al suo rovescio per identificare una volta per tutte “cos’è” quel rovescio. Alcuni interlocutori chiamano scortesia, altri maleducazione tout court, altri citano l’ignoranza individuale (e collettiva, si vedano i teppisti da stadio).

L’assenza di gentilezza è tutto e molto altro, ognuno che la esperisce può fornire la propria personale interpretazione.

Non rispettare la fila davanti a un ufficio e a un negozio, rispondere male a chi chiede rispetto, deridere le persone in difficoltà, calpestare oggetti appena caduti di mano a un passante, usare i bambini per impietosire gli avventori, non rispettare i semafori e la segnaletica stradale, fare il prepotente alla guida di veicoli di ogni tipo.

Ancora, parlare male e sguaiatamente nei luoghi pubblici come il ristorante, infilarsi di prepotenza nel dialogo altrui attirando l’attenzione, entrare in una stanza senza bussare senza presentarsi senza salutare.

L’elenco delle gesta maleducate e scortesi può essere aggiornato e allungato ogni giorno, frequentando qualsiasi luogo di lavoro e di svago.

 

Si può apprendere la gentilezza?

Durante un pranzo in famiglia, capita di chiedere ai commensali di passare le pietanze, l’acqua o altro lasciato all’estremità del tavolo. In un’occasione, dopo una serie di richieste dello stesso tenore «per cortesia, potrei avere le patate? Scusa, potresti passarmi l’acqua? Per favore, potrei avere l’olio? Grazie, molto gentile!» abbiamo ricevuto una chiosa secca da parte della padrona di casa «noi non siamo abituati…» sottinteso «a tutta questa cortesia».

L’espressione «noi non siamo abituati» denota una modalità di comunicazione consolidata, che riteniamo essere frutto di storia personale e famigliare.

Sulla base di quella espressione, riteniamo che la gentilezza si possa apprendere soprattutto in età evolutiva. I genitori e le maestre a scuola sono i primi insegnanti delle buone maniere: le “regole del mondo”, anche dette regole sociali (Axia, 1996). Gli adulti sono i modelli di tutti, se condividono ai bambini strumenti di comunicazione positivi e intelligenti, avremo giovani cortesi che diventeranno uomini e donne con cui interagire in maniera apprezzabile.

 

Gentilezza
Apprendere la gentilezza

 

Adulti scortesi

Per quel che concerne gli adulti, manifestiamo una certa perplessità, perché di fronte ad atteggiamenti consolidati diventa difficile prospettare un miglioramento. Il cambiamento personale richiede una grande dose di buona volontà, di interesse, di comprensione del valore dello stesso cambiamento. Crediamo che tramutare un adulto scortese in una persona genuinamente gentile non sia facile: prima di tutto quella persona dovrebbe capire l’opportunità che ha di fronte, che si tratta di un miglioramento oggettivo, che è un atto di intelligenza. Dovrebbe fare attenzione alle parole che usa e forzare la propria volontà.

 

La gentilezza non è un’imposizione

Non possiamo obbligare le persone ad essere genuinamente gentili, di solito sgarbati e scortesi si allontanano. Se non possiamo fare a meno di relazionarci con loro, dobbiamo usare altri metodi: rassegnazione, riduzione dei colloqui al minimo indispensabile.

Al contrario, per migliorare l’ambiente sociale generale la soluzione più efficace di fronte alle persone sgarbate è proprio l’uso della gentilezza a oltranza. Sulla base della nostra personale esperienza, che invitiamo chiunque a fare, possiamo affermare la bontà degli atti cortesi, soprattutto verso chi non li ricambia. In tal senso, si deve sottolineare la mancanza di intelligenza e la maleducazione del nostro interlocutore sgarbato, insistendo fino a farlo ravvedere in senso positivo.

L’obiezione che ci è stata fatta, accettabile per altro, è che purtroppo certi individui non capiscono quei segnali.

 

Riferimenti bibliografici

G. Axia, “Elogio della cortesia”, Il Mulino, Bologna, 1996 

P. Ferrucci, “La forza della gentilezza”, Mondadori, Milano, 2005

L. Canuti, A. M. Palma, “La gentilezza che cambia le relazioni”, Franco Angeli, Milano, 2017

D. Wallace, “La legge del cafone”, Feltrinelli, Milano, 2018

 

Articoli correlati

Pubblicato da Il Sociale Pensa

Vedi pagina di presentazione sul menù principale.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.