Il consumo è sociale

La religione del consumo

Introduzione al consumo, al consumatore, al consumismo

 

il consumo è sociale
Il consumo è sociale

 

Origine del consumo

Il consumo è uno dei fattori più importanti studiati in economia, è uno dei motori che muovono l’economia avanzata.

Il termine consumo è studiato anche nelle altre scienze sociali, in particolare nel suo rapporto con il sistema produttivo, con lo sviluppo urbano e con le tendenze sociali.

Tecnicamente, per consumo si intende “l’utilizzazione economica dei beni messi a disposizione dall’apparato produttivo di una società” (Dizionario essenziale di Storia Sociale, De Agostini, Novara, pag. 67).

Il consumo è connesso al binomio disponibilità/scarsità dei beni ed è associato a un’azione specifica di scelta (azione sociale), oppure a un comportamento sociale correlato alle azioni compiute da altre persone, per conformarvisi o per opporvisi (L. Gallino, 1993).

Nella prima fase dell’industrializzazione del Mondo Occidentale, il consumo si riferiva alla spesa alimentare, la quale era la voce principale sul totale famigliare (fine XIX secolo).

In seguito, gli economisti e i sociologi hanno osservato un cambiamento importante del ruolo del consumo all’interno dell’organizzazione produttiva occidentale, in riferimento all’aumentata disponibilità di reddito (V. Zamagni, 1993).

 

Evoluzione industriale e consumismo

Il sistema produttivo industriale ha reso disponibili beni in misura maggiore di quanto fosse necessario per la sola sopravvivenza. Il consumo è diventato il vero motore dell’economia occidentale (P. Corrigan, 2002).

Negli anni ’20 del XX secolo, negli USA, si iniziava a parlare di società dei consumi, intendendo sottolineare la centralità dell’attività di consumo rispetto al sostentamento puro e semplice.

L’economia del benessere, diffusasi dopo gli anni ’60 in tutto l’Occidente sviluppato, ha conferito sempre maggiore ruolo ai beni secondari o voluttuari (Dizionario essenziale di Storia Sociale, De Agostini, Novara, pag. 68).

Dal consumo di beni primari per la sussistenza, la società occidentale si è orientata verso il consumo di beni secondari e non fondamentali, gradatamente è passata al consumismo. Quel termine, fortemente critico, sottolinea la distorsione sociale in direzione di un rapporto di sudditanza verso i prodotti.

L’industria ha spinto per l’allargamento dei mercati e delle capacità di assorbimento di quantità sempre più ampie di prodotti, da parte della cittadinanza (i consumatori).

Nel passaggio dal consumo al consumismo si è perso, come direbbe il filosofo Marx, il valore d’uso dei beni, passando dal bene in sé al bene come identificazione del denaro (K. Marx, “Il capitale”, Editori Riuniti, Roma, 1974).

Queste sono alcune delle basi significative per un’indagine sulla cultura del consumo, così come la osserviamo negli anni che stiamo vivendo. Ciò che possiamo vedere e capire ha radici profonde, cresciute in un substrato economico, industriale e sociale, attraverso anni di evoluzione. Possiamo oggettivamente affermare che, anche in questo contesto comunicativo, la complessità sociale ha lasciato il proprio indelebile segno.

 

Il consumismo e la cultura occidentale

I beni e le merci sono il punto nodale del panorama (economico e sociale) della società moderna. L’aumento della capacità produttiva industriale, unita alla diversificazione delle offerte al pubblico, hanno allargato il panorama delle possibilità di consumo solleticando i potenziali consumatori.

Il progresso tecnologico ha permesso di produrre maggiori quantità di beni diversi a costi inferiori (produzioni/economie di scala). L’aumento dei salari e il miglioramento delle disponibilità economiche personali e famigliari hanno posto le condizioni per l’espansione dei consumi.

Tutto questo negli anni del cosiddetto “boom economico”, gli anni ’60 del XX secolo (G. Sabbatucci, V. Vidotto, 2005).

Il “benessere economico” ha raggiunto sempre più ampie fasce della popolazione, proponendo a molte persone nuovi stili di vita sempre più agiati. Il consumismo, nato negli Stati Uniti d’America, di diffondeva a macchia d’olio portando con sé l’impronta della cultura americana, finora estranea al grande pubblico italiano ed europeo.

In accordo con l’Enciclopedia Treccani on-line, si parla di consumismo come il “fenomeno economico-sociale, tipico dei paesi a reddito elevato ma presente anche nei paesi in via di sviluppo, consistente nell’aumento dei consumi per soddisfare i bisogni indotti dalla pressione della pubblicità e da fenomeni d’imitazione sociale diffusi tra ampi strati della popolazione”.

 

Reclamizzare il prodotto

L’aumento dei consumi superflui, non strettamente necessari, apriva nuovi panorami di studio per gli economisti, i sociologi e gli psicologi. Entrava in scena la pubblicità, prepotente, martellante su tutti gli organi di comunicazione. Anche prima del secondo dopoguerra, la pubblicità dei prodotti e delle marche era presente, ma con il “miracolo economico” diventava maggiormente pressante grazie ai mezzi di comunicazione di massa.

Le varie zone del Paese si omologavano a stili di consumo standardizzati, simili per non dire gli stessi, lasciando tuttavia profondi squilibri e disparità sociali tra città e campagna, tra città grandi e piccole, tra quartieri urbani ricchi e quartieri ghetto.

 

Consumismo e consumo di massa

La società di massa convoglia la comunicazione di massa, muovendo la popolazione verso consumi di massa.

I prodotti diventano il vero volano delle scelte personali, alcuni assumono il ruolo di “status symbol” ossia elementi identificativi di gruppi e classi sociali. I prodotti e le merci diventano intercambiabili, di breve uso, velocemente obsoleti seppure siano perfettamente funzionanti. Ciò che spingeva al continuo cambiamento era il messaggio pubblicitario, la moda.

 

Il denaro è il tramite del consumo

Il denaro è il mezzo di comunicazione specifico del sistema economico. Il consumo è parte integrante dell’ingranaggio economico, pertanto, il denaro è il mezzo principale che comunica e rende possibile la realizzazione del consumo (N. Luhmann, R. De Giorgi, 1995).

Anche per il filosofo tedesco Simmel, il denaro è un mezzo di scambio e di comunicazione. E’ il principale mezzo di scambio, ma che non deve diventare un fine. Simmel mette in guardia dai rischi che il denaro pone alle persone: l’avidità, l’ingordigia. Il denaro permette di acquistare oggetti, beni, servizi, potere, da l’illusione della felicità. Il denaro condiziona l’autonomia psicologica individuale, se diventa l’obiettivo ovvero il fine ultimo dell’esistenza.

A causa della necessità, presente nella maggior parte della vita, di avere davanti agli occhi come obiettivo più prossimo il guadagno di denaro, può ben sorgere la convinzione che ogni felicità e soddisfazione definitiva dell’esistenza sia legata al possesso di una certa somma” (G. Simmel).

 

La classe benestante

I benestanti della società moderna sono indissolubilmente legati al concetto di denaro come fine e non come mezzo. Per Simmel sono individui blasé, ovvero persone marcate dalla vita metropolitana nella sua essenza più commerciale. Il blasé cerca stimolazioni nervose sempre più forti, insegue piaceri illimitati, grandi gratificazioni.

Per il blasé non c’è niente che a lui sembri impagabile e viceversa, chi crede di poter pagare tutto col denaro diventa inevitabilmente un blasé” (G. Simmel).

 

L’ostentazione dell’abbigliamento

Nelle società economicamente avanzate, è facile osservare l’apprezzamento insistente per prodotti di riguardo, in particolare per gli abiti. L’abbigliamento indica la classe sociale, sottolinea il raggiungimento di uno status particolare. Gli abiti costosi possono raccontare molto di una persona: il tipo di lavoro che potrebbe svolgere, lo stipendio indicativo percepito, la cura messa nella ricerca di capi personalizzati.

E’ ovvio che una camicia da cinquanta euro faccia lo stesso servizio di una camicia da cinquecento euro, ma ciò che fa la differenza è il dettaglio, l’ostentazione di un’immagine personale (P. Corrigan, 2002).

Esempi di queste affermazioni di status sono presenti in molti romanzi, soprattutto americani o inglesi, nei quali gli autori descrivono molto bene come le società anglosassone e statunitense siano molto attente alla simbologia dell’abbigliamento.

Quindi, trattenendo il fiato, feci scorrere le ante dell’armadio e cominciai a staccare dalle stampelle le cose di McAra poggiandomele su un braccio: camicie da quattro soldi, pantaloni da grande magazzino e cravatte del tipo che si compra negli aeroporti. <<Niente di firmato nel tuo guardaroba, vero, Mike?>>” (R. Harris, 2007).

Leggendo brani letterari come quello sopra, è piuttosto comune notare ogni volta un diverso grado di derisione, oltre al disprezzo, verso le persone “mal vestite” o vestite con pochi soldi. E’ un esempio di cultura del consumo, dell’ostentazione, le persone che ne sono parte usano il denaro per consumare e riprodurre la propria adesione ai valori sociali dei gruppi agiati, detti anche dominanti.

 

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L’abbigliamento denota lo stato sociale dell’uomo d’azienda

 

Dirigenti italiani

Nella sfera dei dirigenti e dei proprietari d’azienda vigono determinate costruzioni d’immagine, che non passano inosservate a occhi attenti. Negli anni ’80 del XX secolo, l’abbigliamento dei dirigenti era sostanzialmente omologato su stilemi conosciuti: abiti a giacca, blu per i politici e grigi per gli aziendali. Cravatte rigorosamente di seta, camicie su misura ma comode, orologi di marca sul polsino.

Vent’anni dopo, i tagli si sono fatti più asciutti, meno comodi, ma i prodotti sono stati sempre preferiti di qualità artigianale; solo gli uomini d’azienda di livello inferiore si servivano presso negozi più economici.

I proprietari e i loro dirigenti hanno adottato un segno distintivo ancor più esclusivo dell’abito artigianale o “solo” firmato: è diventato di moda il ricamo delle proprie iniziali sulle camicie, nella parte sinistra in basso, indicativamente sotto la milza.

Quelle persone dimostravano il proprio rango professionale o di proprietà aziendale attraverso piccole lettere ricamate, a ben vedere mettevano sull’attenti gli sconosciuti in ufficio, alle fiere, ai convegni.

 

Scelte personali

Ogni persona è responsabile per sé stessa delle proprie scelte, anche in ragione dei propri consumi e di quelli della propria famiglia. La cultura dell’essenzialità opposta alla cultura del consumo/consumismo sono le facce di una medaglia da lanciare in aria, senza però lasciare la scelta al caso.

La cultura dell’essenzialità rimanda alla conduzione di una vita dignitosa, evitando la deriva della povertà, senza scadere negli eccessi (G. Pieretti, 1996).

La cultura del consumo/consumismo si riferisce all’identificazione personale negli status symbol, nella moda, nei messaggi pubblicitari, nel ricambio continuo di beni e prodotti a prescindere dalla loro effettiva obsolescenza.

 

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Il consumo è sociale

L’azione del consumo, di beni e servizi, ha un senso nella necessità ma anche nella cultura di riferimento. Sono state ravvisate interconnessioni tra i due livelli che compongono l’azione del consumo: gli stimoli all’acquisto sono percepiti da ogni individuo e mediati / interpretati attraverso i fattori culturali e sociali della società in cui ognuno è inserito (M.C. Martinengo, 2010) .

Il consumo costituisce un fenomeno profondamente radicato nel sistema di relazioni sociali che coinvolge gli attori della distribuzione e i consumatori” (Ibidem).

L’esempio di acquisto attuato da altre persone (parenti, amici, conoscenti) orienta il consumatore nel suo consumo specifico, in riferimento allo stile di vita che desidera mantenere/ostentare (Ibidem, pag. 90). I rapporti interpersonali attribuiscono significato agli acquisti, quindi al consumo, di ogni singolo individuo (Ibidem, pag. 118).

Il consumo è al centro di un rituale sociale che coinvolge larga parte della società occidentale. Esso produce e riproduce l’insieme dei significati e dei valori alla base del consenso di cui gode la società degli individui. Il consumo è un’esperienza sociale individuale e collettiva che costruisce la realtà di ogni giorno (R. Paltrinieri, 2006).

 

Riferimenti

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