Il ghetto etnico contemporaneo

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Quartieri specifici ospitano interi gruppi etnici che li occupano in maniera esclusiva

 

 

ghetto etnico
Ghetto etnico afro americano di Baltimora.

 

 

In principio c’era il ghetto ebraico

Il ghetto etnico contemporaneo è l’evoluzione storica e sociale dell’antico ghetto urbano ebraico. Per entrambi, si osservano la separazione spaziale rispetto ai quartieri limitrofi, la conservazione al suo interno di usi, costumi e tradizioni importate dal proprio paese di origine.

Il ghetto ebraico non era in origine un’imposizione, piuttosto una necessità dello stesso popolo ebraico, al fine di conservare il proprio modo di vivere.

Possiamo affermare che lo stesso principio vale per i moderni ghetti etnici individuabili nelle città europee e americane.

 

Subcultura del ghetto etnico

Essendo la subcultura un concentrato di fattori antropologici specifici, è evidentemente l’espressione di usi costumi e modi di vita peculiari di un preciso gruppo etnico, che si differenzia dalla maggioranza che risiede tutto intorno al quartiere ghetto (L. Gallino, “Dizionario di sociologia”, TEA UTET, Torino, 1993, pag. 676-677).

La popolazione che vive dentro il ghetto etnico esprime e manifesta la propria diversità culturale, che diventa subcultura in quanto insediata all’interno dello spazio cittadino appartenente alla cultura maggioritaria.

Pertanto, la popolazione del ghetto evidenzia la propria diversa cultura e, in certi casi, evita di lasciarsi contaminare da quella dominante (A. Giddens “Sociologia”, Il Mulino, Bologna, 1994, pag. 519).

 

Osservazioni preliminari

Se si prende come ulteriore esempio di studio il caso dei ghetti etnici della metropoli di Chicago (USA), possiamo individuare una linea di indagine che riguarda il flusso migratorio degli stranieri e il loro insediamento.

Nel corso dello sviluppo urbano e dell’invasione dei quartieri peggiori ad opera di nuovi gruppi di immigrati si è verificata una continuità di rapporti tra ebrei e altri gruppi etnici. Ogni gruppo razziale e culturale tende a stabilirsi in quella parte della città che, dal punto di vista degli affitti, del tenore di vita, e dell’accessibilità e della tolleranza, rende più facile la riproduzione della vita del Vecchio Mondo.

Nel corso dell’invasione da parte di flussi di immigrati il ghetto in poco più di una generazione si è trasformato da periferia di un villaggio troppo cresciuto in quartiere povero di una grande città. Gli ebrei hanno progressivamente preso il posto dei tedeschi, degli irlandesi, dei boemi, e a loro volta sono stati soppiantati da polacchi e lituani, da italiani, greci, turchi e infine dai neri” (L. Wirth, “Il ghetto”, in “Società e metropoli”, Donzelli, Roma, 1999, pag. 146).

 

Il ghetto nero degli afro americani

Il nero, come l’immigrato, è segregato all’interno della città in una colonia razziale; fattori economici, pregiudizi etnici e differenze culturali contribuiscono ad isolarlo. Il nero si è spostato nelle zone abbandonate del ghetto esattamente per le stesse ragioni per cui vi sono giunti ebrei ed italiani. Diversamente dai proprietari terrieri e dai residenti bianchi di tempi ormai passati e di altre parti della città, gli ebrei non hanno opposto nessuna resistenza apprezzabile all’invasione dei neri. I neri pagano buoni affitti e spendono volentieri il loro denaro” (L. Wirth, “Il ghetto”, in “Società e metropoli”, Donzelli, Roma, 1999, pag. 146-147).

 

Il ghetto etnico dei neri è una questione politica oltre che sociale

Quando ci si approccia al sistema dei ghetti etnici dei neri d’America, risulta inevitabile cogliere il carattere politico della loro segregazione.

Illustri attivisti della causa degli afro americani hanno sottolineato il problema dei diritti civili assenti per la loro comunità. Secondo personaggi carismatici come M.L. King e Malcolm X, i neri d’America sono stati forzatamente segregati in ghetti appositi, lontano dal benessere e dal progresso personale e di comunità. Hanno più volte denunciato il carattere razziale della segregazione nel ghetto.

L’attivista Robert Vernon pubblicò un piccolo saggio nel 1968, dal titolo “Il ghetto negro” (pubblicato in Italia da Samonà e Savelli, Roma), nel quale denunciava apertamente il sistema segregazionista del governo bianco statunitense nei confronti dei neri.

Da notare, che a quel tempo la parola “negro” non era ancora stata bandita nei discorsi pubblici (confronta “L’uso della parola negro nella comunicazione contemporanea“).

Secondo Vernon, il problema di fondo risiede nel dualismo tra integrazione e segregazione della popolazione afro americana dentro e fuori dal ghetto.

Vernon sosteneva “la lotta dei negri per spezzare le catene del sistema di casta che li tiene in stato d’inferiorità a un secolo dalla cosiddetta emancipazione (…) si batte per la creazione di una base di potere indipendente e d un meccanismo di potere controllato dai negri” (pag. 9).

Pertanto, per Vernon e per gli altri attivisti afro americani, l’istituzione del ghetto etnico dei neri d’America è responsabilità politica e sociale diretta dell’amministrazione locale e nazionale bianca, con lo scopo di controllarne e reprimerne le istanze sociali e il progresso civile.

 

Patologia del ghetto etnico americano

Il ghetto etnico nero in America non ha caratteristiche sociali dissimili dagli altri ghetti, siano essi etnici o differenziati (per esempio nel gioco d’azzardo, nella prostituzione, nella povertà estrema tout court).

Esso manifesta, purtroppo, i soliti fattori del ghetto: segregazione, separazione, indigenza e povertà, specializzazione occupazionale, criminalità, scarsa facoltà di miglioramento e trasferimento, ignoranza dei propri diritti.

Sul piano sociale, politico, educativo e, soprattutto, economico, i ghetti negri sono vere e proprie colonie. I loro abitanti sono popoli soggetti, vittime dell’avidità, della crudeltà, dell’insensibilità, del senso di colpa e della paura dei loro padroni.

Le dimensioni obiettive dei ghetti urbani, negli Stati Uniti, sono il sovraffollamento, l’edilizia di tipo infimo, l’alta mortalità infantile, l’alta percentuale di crimini e di malattie.

Le patologie della comunità del ghetto si perpetuano attraverso la bruttezza e il deterioramento cumulativi, l’isolamento e il rafforzamento del senso d’inutilità del negro, che ne rinsalda l’impotenza” (K. B. Clark, “Il ghetto negro”, Einaudi, Torino, 1969, pag. 35-36).

 

Classi ghetto, classi segregate

Le scuole presenti nel ghetto afroamericano sono state prese a modello di studio per successive analisi rispetto a ciò che anche la stampa chiama le classi ghetto.

In tutti i grandi centri urbani statunitensi ci sono scuole pubbliche, che si prefiggono l’istruzione per tutti i bambini e i ragazzi. Tuttavia, nei ghetti etnici afroamericani le scuole sono state oggetto anch’esse di segregazione.

Più precisamente, le classi ghetto sono composte per oltre la metà (o per la totalità) da alunni stranieri, o come nel caso americano da neri. Le classi ghetto risulterebbero separate dal resto delle classi scolastiche.

Gli studiosi, e naturalmente gli abitanti del ghetto etnico americano, denunciano l’elemento razziale per descriverne il tipo di segregazione.

Se i negri si spostano in una comunità precedentemente bianca, e quindi i bianchi si trasferiscono altrove o mandano i loro figli in scuole private o parrocchiali, le scuole pubbliche continueranno a essere segregate.

Se la qualità dell’insegnamento nelle scuole negre è inferiore a quello delle scuole bianche, i bianchi trovano giustificazione nella paura che la presenza dei negri nelle loro scuole ne possa abbassare il livello.

Se portano via i loro figli e la scuola diventa in predominanza negra, e perciò stesso peggiora la qualità dell’insegnamento, il ciclo ricomincia daccapo” (K. B. Clark, “Il ghetto negro”, Einaudi, Torino, 1969, pag. 152).

 

Little Sicily / little Hell, little Italy

 

ghetto etnico
Uno dei quartieri italiani negli USA. Un tempo erano ghetti etnici.

 

Un altro esempio particolare di ghetto etnico proviene sempre dagli Stati Uniti, è stato osservato e studiato preliminarmente anch’esso dai ricercatori della Scuola di Chicago.

Si tratta degli insediamenti italiani nei quartieri metropolitani statunitensi, attorno al 1930. I nostri compatrioti emigrati hanno seguito gli stessi passi degli altri immigrati prima di loro: hanno occupato quartieri che prima erano la residenza di ebrei, tedeschi e svedesi.

La loro caratteristica era l’auto segregazione, entravano negli spazi urbani lasciati liberi da altri, vi si insediavano diventando impermeabili alle sollecitazioni che provenivano dall’esterno del quartiere. Non esisteva una legislazione che li obbligava a rimanere là dentro, semplicemente, per motivi sociali, comunitari, occupazionali, sceglievano di non uscirne.

Il loro autoisolamento ha inizialmente creato dei forti conflitti personali e di comunità, poiché la legge americana prescriveva ad ogni bambino e ragazzo di frequentare le scuole pubbliche. Andare a scuola insieme a persone diverse per lingua, cultura e usanze, per poi tornare nel proprio ghetto etnico a immergersi nuovamente nelle proprie usanze, ha generato nei ragazzi italo-americani dei seri conflitti culturali. Talvolta quei conflitti personali sfociavano in problemi di comportamento sociale, altre volte portavano a scompensi psicologici, oppure a banali momenti di smarrimento.

Non dobbiamo poi dimenticare che la conoscenza della lingua corrente (l’inglese americano) era necessaria se non obbligatoria in molti contesti, soprattutto di lavoro.

Gli abitanti italiani di Little Sicily, come quelli di Little Italy, conservavano le loro rigide usanze famigliari, difendevano la rigida morale sessuale verso le ragazze e le donne della comunità, perseveravano nel parlare il dialetto di provenienza.

I ricercatori hanno rilevato una bassissima, se non rara, incidenza dei divorzi, inoltre la solidarietà famigliare era a dir poco esemplare, come l’organizzazione sociale dentro la comunità di appartenenza. La povertà era endemica e molto pesante.

Nel ghetto di Little Sicily, i residenti erano pressoché tutti provenienti dai paesi attorno a Palermo. Essi avevano importato dalla Sicilia la lotta e la faida tra le diverse famiglie siciliane, faccenda che creava non pochi grattacapi ai locali distretti di Polizia (J. Madge, “I metodi di ricerca empirica in sociologia”, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 149-151).

In seguito, le cronache inizieranno a parlare di organizzazioni mafiose italo-americane.

 

Dal ghetto etnico all’enclave etnica

Dall’insediamento urbano residenziale, le comunità etniche immigrate passano a dedicarsi all’attività economica, prima in senso generico poi in senso specialistico e imprenditoriale. Nel tempo, gli studiosi hanno rilevato l’importanza di quelle attività economiche nel tessuto locale e nazionale. Esempi sono l’enclave etnica cubana a Miami in Florida (USA), Chinatown a New York e San Francisco, Koreantown a Los Angeles. Enclave etniche in Italia si possono osservare a Prato, anche qui una Chinatown, oppure a Roma e Torino i quartieri islamici.

Più precisamente, l’enclave etnica è un raggruppamento spaziale di imprese possedute dagli appartenenti alla medesima minoranza etnica e situate in prossimità delle aree di insediamento del gruppo etnico” (L. Zanfrini, “Sociologia delle migrazioni”, Laterza, Roma-Bari, 2007, pag. 169-170).

Il modello dell’enclave etnica può rappresentare un evoluzione rispetto alla segregazione riscontrabile nel ghetto etnico.

 

Il ghetto etnico non termina

Il ghetto etnico è l’evoluzione “naturale” del ghetto ebraico modello, che per primo si è creato qualche secolo fa in Europa.

Lo studio del ghetto si è spostato in termini etnici negli Stati Uniti d’America, poiché è stato il primo grande Paese a ospitare in quantità massicce immigrati stranieri da quasi tutto il resto del Pianeta.

Il ghetto etnico ha ospitato gruppi diversi di persone, per cultura credo religioso e usanze. Ogni gruppo etnico “invadeva” il quartiere lasciato libero da altri gruppi sostituendoli. Una volta dentro al quartiere del ghetto etnico, la nuova comunità ne prendeva possesso in tutto e per tutto, entrava in simbiosi con quel territorio urbano, vi si identificava.

Talvolta i residenti del ghetto etnico vi si auto segregavano, ma invece nel caso degli afro americani, essi vi restavano confinati per varie generazioni, senza scovare opportunità per trasferirsi altrove. La segregazione degli afroamericani nel ghetto era fin dall’inizio una questione politica; per altri gruppi come quello italiano o cinese, si parlava di auto segregazione comunitaria.

Il ghetto etnico americano conserva il suo interesse di studio anche dopo svariati anni dalle pubblicazioni classiche. Seppure negli Stati Uniti molto sia cambiato per gli immigrati italiani, i quali hanno raggiunto un buon livello di benessere e status sociale.

Per quanto riguarda invece gli afro americani, dopo le rivolte degli anni ’60 e ’90 del ‘900, le amministrazioni federali hanno risposto alle loro richieste sociali, tuttavia i quartieri come Harlem a New York rimangono a quasi esclusiva residenza dei neri d’America.

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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