Il velo islamico

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Il velo islamico: una polemica che si rinnova continuamente

 

velo islamico
Velo islamico

 

Nella tradizione islamica si possono notare diversi tipi di velo per le donne, obbligatorio o facoltativo. In base alle norme locali e nazionali di ogni Paese è possibile trovare diversi usi e consuetudini di abbigliamento femminile.

 

velo islamico
Tipi di velo islamico

 

Partiamo dal più famigerato velo islamico il “burka” o “burqa”, che copre per intero il corpo del viso della donna, avendo solo una grata di tessuto davanti alla faccia.

Esiste poi il “niquab” altro indumento integrale che lascia solo una piccola feritoia da cui si intravedono gli occhi.

Di seguito troviamo il “chador” che lascia scoperto il volto della donna e copre tutto il resto.

Infine abbiamo il “hijab” velo molto più elegante e agile, che copre solo la testa della donna, lasciando libero il volto.

Questi sono i principali tipi di velo che tutti possono notare presso le comunità musulmane in terra natia ed emigrate in Occidente.

Fare la storia dell’indumento femminile più discusso della religione islamica è molto noioso, qui è sufficiente ricordare che nel testo sacro coranico esso è citato alla Sura XXIV versetto n. 31. Il resto è composto da rimandi alla tradizione e alle scelte dei personaggi di spicco delle comunità locali e nazionali, che ovviamente si sono espressi in merito al suo utilizzo. Il “burqa” è il preferito dai talebani, il “chador” dai rivoluzionari iraniani di Khomeini, in Arabia Saudita si preferisce il “niquab”.

Di sicuro, la variante “burqa” crea qualche problema di identificazione personale, è oggettivamente impenetrabile allo sguardo di chiunque. Le cronache hanno registrato casi di terroristi nascosti sotto dei “burqa” che tentavano di passare posti di controllo delle forze dell’ordine, o peggio che si sono fatti esplodere.

Corriere della Sera

Il Giornale

Qualunque sia la variante dell’indumento “velo islamico”, periodicamente se ne parla non tanto per la valenza estetica e l’eleganza, quanto per il suo significato intrinseco ed estrinseco.

Il velo islamico è un simbolo culturale per alcuni, politico per altri. Sui giornali e sul web si possono leggere diverse opinioni a riguardo, anche di illustri intellettuali.

Un argomento di grande valenza è che il velo è di fatto “il simbolo dell’oppressione della donna nell’Islam”. Opinione corroborata dalle scelte laiche di certi stati come la Turchia e la Francia.

(Souad Sbai “L’inganno – Vittime del multiculturalismo”, ed. Cantagalli, Siena, 2010, pag. 107-115)

(V. Colombo “Islam – Istruzioni per l’uso”, Mondadori, Milano, 2009, pag. 301-312)

L’autoproclamato stato islamico, chiamato “Isis” o “Daesh”, ha reso obbligatorio l’utilizzo del velo integrale per le donne sui territori medio orientali conquistati. Di fatto questa è un’imposizione socio politica e non prettamente culturale. Non è una scelta estetica facoltativa.

Al contrario, alcune donne musulmane intervistate si sono dimostrate fiere di indossare il loro “niqab” perché simbolo di appartenenza alla comunità dei fedeli. Sarebbe però utile sapere se i loro famigliari e i capi della loro comunità consentono facoltà di scelta, poiché essere asservite ad un obbligo non contempla sempre la felicità di esserlo.

 
Variazioni sul tema

Abbiamo assistito a scene piuttosto tragicomiche sul tema del velo islamico. E’ il caso dell’atleta saudita che alle olimpiadi di Londra 2012 si è presentata sulla materassina, per l’incontro di judo, con un buffo copricapo. Suo padre si era battuto allo sfinimento affinché la figlia judoka combattesse con il velo d’ordinanza. Il Comitato Olimpico e la Federazione Mondiale del Judo pare abbiano opposto motivazioni di regolamento e incolumità personale. Dopo una trattativa lunga ed estenuante, il padre della judoka saudita e il Comitato Olimpico hanno raggiunto un compromesso: lasciarla combattere indossando una speciale variante del velo islamico, cioè una specie di cuffietta. A complemento di tutta la scena, dobbiamo aggiungere che l’atleta saudita ha beneficiato di un portavoce e della protezione del fratello durante l’intera sua permanenza sul luogo della gara.

 

velo islamico
Velo islamico da gara

 

La prima donna araba alle olimpiadi

Judoka saudita alle Olimpiadi 2012

 

Un nuovo “caso”

Il 18 agosto 2016 sui principali organi di stampa europei è uscita la notizia che il giudice di Nizza (Francia) ha dato ragione al sindaco di Cannes in merito al divieto del “burkini” in spiaggia. Il “burkini” è un particolare costume da bagno riconducibile alla categoria “velo islamico”, creato per la prima volta in Australia, che permette alle donne musulmane di fare il bagno al mare, senza contravvenire alle rigide regole di decoro imposte dalla loro religione. Assomiglia ad una muta da sub.

 

burkini
Burkini da mare

 

Il sindaco di Cannes ha motivato l’ordinanza riferendosi allo stato di emergenza instaurato dopo i recenti attentati di matrice islamica/islamista in Francia e Belgio. L’ordinanza è stata inserita nella coerenza delle precedenti decisioni francesi in merito al divieto del “burqa” nei luoghi pubblici.

La notizia sul “burkini” ha innescato un gran vespaio di polemiche tra chi si oppone al velo islamico come simbolo d’oppressione femminile e chi invece è favorevole, poiché distingue la buona pratica delle regole ortodosse islamiche da tutto il resto.

E’ facile finire nel solco di una o dell’altra parte in polemica, soprattutto perché il velo è un simbolo e come tale si porta appresso significati precisi e perentori. Il velo, o meglio i vari tipi di velo, sono come una bandiera dietro o di fronte alla quale schierarsi, in nome dell’appartenenza ad un gruppo sociale.

Per quanto ci riguarda, pensiamo che la notizia sul “burkini” sia solo il pretesto per surriscaldare un dibattito già piuttosto caldo. Ci sono sicuramente temi e argomenti molto più importanti di un costume da bagno, seppure modificato per l’esigenza islamica. L’unica annotazione che osserviamo relativamente al “burkini” è il cattivo gusto estetico, oltre alla ridicola ostentazione.

Ogni altro riferimento è puramente strumentale: se abbiamo passato il tempo dei punks e delle loro creste, possiamo benissimo passare indenni anche alla bruttezza del “burkini”.

La polemica sul “burkini” – La Repubblica

La polemica sul “burkini” – Huffington Post

 

Aggiornamenti

30 agosto 2016 l’Alto commissariato ONU per i diritti umani deplora il divieto di alcuni comuni francesi contro il “burkini” in spiaggia, perché “discrimina i musulmani”.

Il 26 agosto 2016 il Consiglio di Stato francese aveva sospeso il divieto emesso dal comune di Villeneuve-Loubet e da trenta municipalità della Costa Azzurra, pronunciandosi di fatto a favore del “burkini”. “Violazione grave e illegale alle libertà fondamentali” si legge nelle motivazioni.

La polemica continua con alti e bassi, attraversando la società francese e di riflesso se ne parla in altri Paesi europei con toni non proprio sereni.

Pronunciamento del Consiglio di Stato francese

L’ONU contro il divieto al “burkini”

 

Considerazioni

Si può notare subito che approfondire il discorso del velo islamico e del suo significato equivale a infilarsi in un ginepraio intricato e pericoloso. La vera discriminante utile a districare quel ginepraio è la domanda secca:

il velo è imposto oppure è una libera scelta?

Se è un indumento imposto assume il significato di dovere imprescindibile quindi opprimente; se invece è un indumento facoltativo rende il senso di appartenenza sociale, oppure di accessorio di moda.

Aggiungiamo poi la faccenda delle variazioni personalizzate del velo tradizionale, per le quali i responsabili (maschi) sconfinano tranquillamente sul terreno del ridicolo. Secondo noi le donne assumono sempre il ruolo di parte lesa.

In ultima analisi, ci piacerebbe maggiormente leggere meno baggianate sul velo e più di provvedimenti utili ad evitare la proliferazione selvaggia delle moschee in Italia e in Europa.

 

Approfondimenti

Quando l’abbigliamento diventa violenza

Una legge contro il “burqa”

Il preferito dai musulmani

E’ un errore vietare il “burkini”

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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