Inclusione sociale

inclusione sociale

L’inserimento da qualche parte, teoricamente parlando.

 

 

L’inclusione è forse solo un tentativo?

 

 

Chiacchiere sulla stampa

Ministro: «Giustamente, ora tutti chiedono di passare dalle parole ai fatti. In questo intervento vorrei quindi mostrare come le politiche del governo ****** sui temi delle infrastrutture e della mobilità siano fortemente ispirate ai principi della “sostenibilità integrale” e simultaneamente orientate al rilancio della nostra economia, alla sostenibilità ambientale, all’inclusione sociale e alla riduzione delle disuguaglianze, anche territoriali.» (Intervento tratto dall’Avvenire di giovedì 4 novembre 2021, p. 6).

Il Sociale: «Scusi Sig. Ministro, cosa intende Lei per “inclusione sociale”?»

 

L’importanza delle parole

La parola “sostenibilità”, con le sue varie declinazioni, dimostra che il dibattito in corso ha un livello di complessità notevole, non possiamo trascurare l’impatto che produce la semantica delle parole usate a mezzo stampa. Tanto più che i protagonisti della politica usano quelle parole con superficialità, dando per scontato che tutto il potenziale pubblico ne abbia approfondito il senso.

Dubitiamo fortemente che l’intera platea degli spettatori sia debitamente informata in merito. Inoltre, insinuiamo il sospetto che i protagonisti della politica e dei media, consapevolmente, usino quelle parole evitando di spiegarne il senso voluto.

Lo stesso discorso vale per la tanto inflazionata parola “inclusione”, cui si appiccica il suffisso “sociale”, forse per darle la giusta enfasi.

 

Leggere e ascoltare i media

Abbiamo osservato una certa insistenza, da parte dei protagonisti della vita pubblica attuale, rispetto al tema dell’inclusione. Abbiamo altresì notato che quella parola è infilata (un po’) ovunque e lasciata lì appesa, abbandonata senza approfondimenti. Il lettore/spettatore disattento prosegue passa oltre come se nulla fosse, senza protestare per l’indifferenza mostrata dall’intervistato e dall’intervistatore verso un tema complesso e di potenziale interesse per il pubblico delle persone comuni.

Avanziamo l’ipotesi che la parola inclusione sia pronunciata con un intento di rassicurazione, piuttosto che di genuino progetto d’azione.

 

Essere dentro

Inclusione rimanda, genericamente, all’essere dentro un insieme; sociale è la parola che specifica la relazione con altre persone, dentro la società. L’inclusione sociale è un processo che ha nell’esclusione (sociale) il suo alter ego, il suo rovescio. Pertanto, il binomio inclusione/esclusione è il punto di partenza per approfondire il significato di quanto abbiamo introdotto.

Il soggetto dell’inclusione/esclusione è il cittadino, l’abitante, la persona rispetto all’ambiente sociale a lei più vicino. Oggetto di attività è l’insieme delle relazioni che la persona crea all’interno di quell’ambiente.

Siamo di fronte a connotazioni di stato (condizione della vita sociale) e di processo (esperienze sociali e di diritti) che rimangono ancora generiche, non riferite a uno spazio specifico.

 

Essere dentro un insieme significa essere incluso

 

Oltre l’integrazione

C’era una volta il termine integrazione sociale, che riassumeva il paradigma di riferimento per coloro che intendono occuparsi del problema della partecipazione alla vita delle relazioni. Per chiunque è importante essere dentro un ambiente (sociale), creare relazioni con altri simili, avere garanzie economiche grazie a una professione.

Il concetto di integrazione-sociale è stato poi inteso come politicamente scorretto, incapace di interpretare il mutamento sociale in atto (una specie di moto perpetuo, perché la società con le sue comunicazioni non si ferma mai), potenzialmente fuorviante, facilmente manipolabile davanti ad argomenti culturali ed etnici.

Per questi motivi, gli studiosi lo hanno abbandonato a favore del più adatto (secondo loro) concetto di inclusione. Rimane l’utilizzo dell’integrazione sociale da parte dei media e della politica, soprattutto verso il tema dell’immigrazione straniera.

 

Inclusione dove?

Parlare d’inclusione in generale, senza specificare un contesto, rende il discorso parziale. Siamo convinti che si debbano fornire dettagli a riguardo. Riteniamo che essere inclusi in un ambiente scolastico non sia lo stesso di ricevere una buona accoglienza sul mercato del lavoro. Lo stesso si potrebbe affermare dell’inclusione culturale rispetto all’inclusione nel tessuto sociale di persone portatrici di handicap.

Analogamente, la situazione degli individui in povertà (relativa o assoluta) pone interrogativi sullo stato di esclusione di costoro, che sono l’altro vero volto o meglio il rovescio dell’inclusione.

La nostra richiesta verte sull’ottenimento di migliori informazioni, più dettagliate, sul tema dell’inclusione. Più precisamente, ci interessano le prospettive di inclusione delle varie categorie di persone nell’ambiente sociale di vita.

 

Bambini

Una delle categorie più importanti, cui rivolgere l’attenzione per una pratica inclusione sociale, sono i bambini. Essi sono, naturalmente, una categoria fragile che in molte zone urbane è sottoposta al pericolo di povertà, esclusione (appunto), di non fruizione dei diritti, a disagio.

L’inclusione in ambienti scolastici genuini e in altri ambienti dove la frequentazione ha caratteristiche positive è il punto di partenza necessario ma non scontato.

Una categoria correlata include i portatori di handicap. Il contesto scolastico risulta di importanza fondamentale per rendere partecipi alla socialità le persone disabili. Numerosi sono i bambini affetti da patologie invalidanti, ai quali deve essere garantito un percorso pedagogico e formativo adatto alle loro esigenze.

Una società che afferma (e si vanta, nelle parole dei politici locali e nazionali) di essere inclusiva, non può dimenticare queste categorie svantaggiate, deve obbligatoriamente attivare il sociale affinché dia loro risposte concrete.

 

Persone in povertà

Sono il fattore che conferma quanto la società non sia egualitaria. «I poveri sono sempre esistiti ed esisteranno sempre».

La povertà ci ricorda che il sociale urbano è generalizzazione, è negazione della specificità individuale (G. Piazzi, “La ragazza e il direttore”, F. Angeli, Milano, 1995, pag. 95). Il sociale non è individuale, ma è generale, ha fatto proprio il carattere commerciale moderno che vuole assimilare tutti nell’immagine dei prodotti, ma nel concreto esclude chi non ha le risorse per acquistarli.

I poveri sono esclusi dal sociale, non hanno un lavoro, spesso non hanno una casa, hanno vissuto la disgregazione delle proprie relazioni famigliari e amicali, lamentano la perdita del loro sé (non consciamente).

Le persone in stato di povertà sono escluse pure dal territorio, non fruiscono del bene città, ossia delle sue relazioni di sostegno, dei suoi legami sociali minimi. Essi sono allontanati dalla socialità e dalla socievolezza.

Esistono volontari nelle città, i quali si recano presso i poveri portando loro conforto, viveri, coperte. La loro opera meritevole, purtroppo, non può risolvere il problema.

L’inclusione delle persone in situazione di povertà è una delle sfide più grandi che sono presentate alla società nel suo insieme. I poveri sono anche l’esempio della complessità sociale vigente nelle nostre città. La carenza del senso di comunità locale accentua il disagio delle persone povere.

 

Lavoro?

Il lavoro è un fattore decisivo che crea inclusione sociale. Dove? Nella società locale, sul territorio. Grazie al lavoro si creano legami sociali importanti, si ha l’opportunità di fare famiglia.

«A partire dagli anni ’90 è diventata prevalente anche in Europa l’idea che l’aumento della flessibilità in entrata e in uscita dal lavoro, accompagnata da una generale deregolamentazione delle politiche occupazionali, avrebbero comportato un generale miglioramento della produttività. Certamente, la crescita della produzione di servizi e l’emergere delle economie asiatiche hanno giocato un importante ruolo nel porre in discussione le garanzie di mantenimento del posto o dei redditi da lavoro. Infatti, accanto alle richieste di ridurre o eliminare i minimi salariali e limitare la contrattazione sindacale centralizzata, le vicende di questi ultimi due decenni hanno visto ridurre le garanzie del mantenimento dell’occupazione a favore di una strategia lavorativa centrata sulla flessibilità, ossia sulla precarietà dell’impiego» (S. Cecchi, 2007, p. 125).

Avere un buon lavoro, con garanzie, è diventato un elemento esclusivo; le occupazioni atipiche diventano gradualmente più frequenti. Con contratti a termine e senza prospettive certe, scende la possibilità dei lavoratori (soprattutto giovani e donne) di poter pianificare una famiglia e di comprarsi una casa.

In questo senso, il fattore lavoro assume connotazioni meno inclusive.

 

Relazioni e legami sociali

Non in tutti gli ambienti sociali è possibile esperire relazioni soddisfacenti, inclusive. Un ambiente comunitario (famigliare, rurale, sportivo, parrocchiale) può fornire il substrato per la creazione di legami sociali di inclusione. Gli ambienti urbani che prevedono comunicazioni superficiali e veloci non permettono un soddisfacente processo di inclusione.

 

Incognite

L’inclusione sociale evoca scenari potenzialmente positivi, sebbene, ribadiamo, sia necessario specificare il dove e la categoria sociale interessata.

Si può essere inclusi in sistema sociale (si veda Luhmann) ma esclusi da altri. Chi viene escluso subisce un peggioramento delle proprie condizioni, in particolare se ci riferiamo al sistema economico.

Non di meno, le persone che non vengono incluse in un sistema importante come la scuola (bambini, disabili) risultano emarginate, fuori dalle relazioni sociali primarie.

Che si citi l’integrazione o l’inclusione è necessario completare il discorso, è riduttivo e fuorviante parlarne in modo generico, pare che ci sia l’intenzione di farcire le interviste con parole di moda e poca sostanza.

 

 

Riferimenti e letture

AA.VV., “Inclusione sociale”, Bonanno, Acireale, 2014

S. Cecchi, “Modernità e inclusione sociale”, CEDAM, Padova, 2007

M. Striano (a cura di), “Pratiche educative per l’inclusione sociale”, Franco Angeli, Milano, 2010 

F. Belvisi, “Verso l’inclusione”, CLUEB, Bologna, 2012

C. Baraldi, “Il disagio della società”, Franco Angeli, Milano, 1999 

C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, “Luhmann in glossario”, Franco Angeli, Milano, 1996 

P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, “Gli esclusi dal territorio”, Franco Angeli, Milano, 1997

P. Guidicini, G. Pieretti, “Città globale, città degli esclusi”, Franco Angeli, Milano, 1998

G. Lazzarini, “L’integrazione sociale”, Franco Angeli, Milano, 1993

 

Articoli correlati

Pubblicato da Il Sociale Pensa

Vedi pagina di presentazione sul menù principale.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.