L’Islam globalista

Cosmopolitismo e globalismo:

l’Islam globalista alla conquista dell’Occidente?

 

 

Sulle vie del Cosmopolitismo

 

 

 

Il desiderio di espansione

Sin dalla sua origine, ogni religione nasce come piccolo agglomerato sociale per poi diventare nel tempo sempre più grande, con particolari alterne vicende.

La complessità del panorama religioso obbliga a ridurre l’osservazione considerando “solamente” le tre grandi confessioni monoteiste, le quali hanno manifestato la più grande espansione sull’intero globo terrestre.

Prima la religione ebraica, poi quella cristiana e cattolica, hanno guidato la società occidentale con il loro progetto spirituale e filosofico: il messianismo ebraico e l’annunzio evangelico (A. Colombo, “Il processo cosmopolitico, le sue radici storiche e religiose”, in L. Tundo Ferente, “Cosmopolitismo contemporaneo”, Morlacchi, Perugia, 2009, pag. 29).

A ben notare, si tratta di un vero e proprio progetto orientato alla liberazione personale, sulla strada verso una società egualitaria, giusta, imparziale, senza diversità. Il principio della fratellanza, all’interno della più ampia comunità, diventa il protagonista dell’etica e della morale (Ibidem, pag. 30-31).

 

Religione cosmopolita

Le istituzioni religiose si fanno portatrici del messaggio fraterno universale, universalistico come dono (o imposizione) da portare all’intero universo umano. Tutti gli uomini sono fratelli, tutti gli uomini appartengono alla stessa “razza umana” (o “specie umana”).

Il messaggio è universale, si appropria del termine cosmopolita. Pertanto, la religione (sottolineiamo qui analizzata in prospettiva ridotta per motivi di complessità) adotta istituzionalmente l’intenzione di eliminare la distinzione tra nativi e non nativi, in quanto tutti figli dello stesso Creatore.

La religione assume la qualifica di cosmopolita: l’ebraismo è presente in Europa, parti del nord Africa, Asia e America; il cristianesimo è presente in tutti i cinque continenti. Entrambe le confessioni si rivolgono all’intera specie umana, proponendo un messaggio di fratellanza universale, di giustizia, di cosmopolitismo filosofico.

Nella visione evangelica (come in quella messianica) il progetto e processo di una comunità dei popoli è squisitamente religioso, passa attraverso una comunità religiosa” (Ibidem, pag. 32).

 

Rivendicare il Cosmopolitismo

La terza delle grandi religioni monoteiste si rivela la più incisiva in termini di ambizioni cosmopolite. L’ebraismo e il cristianesimo hanno proposto (e propongono tutt’oggi) un messaggio cosmopolita composto dal confronto, dal dialogo, dalla fratellanza. Al contrario, la terza più grande religione monoteista si caratterizza per contenuti del tutto diversi.

L’Islam ha elementi profetici, sostiene un processo di liberazione dall’ingiustizia, opera per la realizzazione di una comunità universale di credenti. Anche l’Islam è una religione fondamentalmente cosmopolita (Ibidem, pag. 36).

La religione islamica ha però nel suo fondamento filosofico, legislativo e teoretico lo scontro con tutti gli uomini che non sono musulmani. Storicamente, l’Islam è definito come la religione della guerra.

La bipartizione della massa nell’Islam è assoluta: da una parte i fedeli, dall’altra gli infedeli. Il loro destino, per sempre diviso, è di combattersi a vicenda. La guerra di religione è un sacro dovere; la duplice massa del giudizio universale – seppure meno ampia – appare dunque già in ogni battaglia durante la vita terrena” (E. Canetti, “Massa e potere”, Adelphi, Milano, 1997, pag. 171).

 

Islam cosmopolita

L’annuncio cosmopolitico islamico riguarda tutti i popoli della Terra, è finalizzato all’imposizione del riconoscimento di Allah come unico vero Dio. La prospettiva di una società più giusta e ugualitaria (perciò cosmopolita) è unicamente inserita nella conversione all’Islam e l’inclusione nella “Umma”, ossia la comunità islamica.

Nella Umma islamica non sono riconosciute l’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli (A. Colombo, “Il processo cosmopolitico, le sue radici storiche e religiose”, in L. Tundo Ferente, “Cosmopolitismo contemporaneo”, Morlacchi, Perugia, 2009, pag. 38).

Tuttavia, il cosmopolitismo islamico ha successo in quanto all’interno della Umma non ci sono (in senso ufficiale) considerazioni e differenze sociali in base al colore della pelle o di altro tipo: tutti i fedeli sono uguali. Non solo, la predicazione islamica fa proseliti perché lotta contro l’immoralità occidentale e contro la secolarizzazione imperante (R. Guolo, “L’Islam è compatibile con la democrazia?”, Laterza, Roma Bari, 2007, pag. 13).

In verità, negli ambienti musulmani esistono sostanziali differenze e discriminazioni, rivelate dallo storico orientalista britannico Bernard Lewis, nel saggio “Razza e colore nell’Islam” (Longanesi, Milano, 1975).

 

Lo straniero

Nel Cosmopolitismo tradizionale (di matrice occidentale), lo straniero è effettivamente l’idolo laico cui rivolgere la totale (o quasi) attenzione filosofica e ideologica.

Lo straniero cosmopolita è chiunque si manifesti ai confini, chiedendo di entrare per ottenere assistenza. Generalmente, non esistono distinzioni di sorta, tutti i cittadini del mondo sono meritevoli di solidarietà.

Nel cosmopolitismo islamico, invece, lo straniero è sempre colui che si identifica come l’estraneo infedele. A costoro, non è teoricamente concesso nulla di misericordioso, nemmeno una degna sepoltura in caso di morte (A. Di Nola, “L’Islam”, Newton & Compton, Roma, 2004, pag. 117).

Un elemento chiarificatore sul ruolo della solidarietà è sicuramente l’elemosina rituale, cui ogni fedele musulmano è chiamato a fare nella sua vita. L’elemosina è specificata nel Corano, per determinate categorie di persone, dalle quali sono esclusi gli stranieri (perciò gli infedeli): i poveri e i bisognosi, gli incaricati di raccoglierle, i notabili dell’Islam, i debitori lodevoli, coloro che lottano “sulla via di Dio”, infine i viaggiatori (A. Bausani, “L’Islam”, Garzanti, Milano, 1995, pag. 50-51).

E’ evidente che se lo straniero infedele si convertisse all’Islam sarebbe accolto nella Umma e godrebbe di tutti i diritti islamici.

 

Espansione cosmopolita islamica

Il testo sacro islamico, il Corano, è perentorio in materia di divulgazione della fede: tutti i popoli devono essere portati all’Islam “anche e soprattutto con la coercizione, con la guerra, perché ogni altra religione dev’essere annientata; tranne l’ebraismo e il cristianesimo che saranno sottoposti a tributo” (A. Colombo, “Il processo cosmopolitico, le sue radici storiche e religiose”, in L. Tundo Ferente, “Cosmopolitismo contemporaneo”, Morlacchi, Perugia, 2009, pag. 37).

La guerra santa è il sesto pilastro della teologia e della giurisprudenza islamica, chiaramente delineata nel testo sacro, cui tutti i fedeli musulmani sono tenuti ad osservare (A. Bausani, “L’Islam”, Garzanti, Milano, 1995, pag. 60-61).

Il concetto della Jihad, o lotta, rimane un elemento centrale dell’Islam – il conflitto all’interno di ogni individuo e nel mondo esterno tra il bene e il male. Rigidi confini tra il mondo musulmano e quello non musulmano contribuiscono a mantenere alti livelli di conflitto anche oggi (L. R. Kurtz, “Le religioni nell’era della globalizzazione”, Il Mulino, Bologna, 2000, pag. 196).

 

Espansione islamica grazie all’emigrazione

Sappiamo che con la caduta dell’Impero Ottomano, alla fine della Prima Guerra Mondiale, sono ufficialmente cessate le velleità di conquista militare dell’Europa da parte dell’élite islamica.

Parimenti però, non sono svanite del tutto le effettive volontà di conquista dell’Europa, possiamo affermare che esse abbiano cambiato modalità e prospettive.

I grandi stati occidentali hanno contrattato l’afflusso di manodopera straniera dagli stati a maggioranza islamica, per sopperire alla carenza di lavoratori entro i propri confini (F. Dassetto, A. Bastenier, “Europa: nuova frontiera dell’Islam”, Ed. Lavoro, Roma, 1988, pag. 20).

La divulgazione cosmopolita dell’Islam, in Europa e negli Stati Uniti, è stata spinta dallo sviluppo demografico degli stessi paesi musulmani.

In Occidente esistono inequivocabilmente numerose comunità islamiche che possono vantare grandi numeri di residenti, regolari e non regolari.

 

Diventare socialmente cosmopoliti

La complessa lettura della presenza in Occidente (soprattutto in Europa) di una (relativamente) cospicua porzione di popolazione musulmana deve partire obbligatoriamente dal considerare come reale il progetto cosmopolita dell’élite islamica.

L’antica rivalità con il Cristianesimo (e l’Ebraismo) è uno dei primi tasselli del mosaico di quella complessa lettura (B. Lewis, “Le origini della rabbia musulmana”, Mondadori, Milano, 2016, pag. 147).

L’Occidente ex cristiano, attualmente laico edonista, è diventato troppo forte militarmente e politicamente per essere invaso come nei secoli passati (Spagna 711, tentativi a Vienna 1529 e 1683), per cui memori anche delle recenti disfatte militari contro l’Esercito Israeliano (Guerra dei Sei Giorni, giugno 1967) e contro l’Esercito Americano (Guerre del Golfo 1990-1991, 2003-2011), si è imposto un deciso cambio di strategia, puntando sulla politica e sull’economia.

Si sono moltiplicati gli incontri e le interazioni socio-politiche con i capi di stato occidentali (Francia in primis), seguiti da accordi commerciali volti a consolidare le proficue relazioni di insediamento ‘cosmopolita’ dei musulmani in Europa.

Si tratta del famoso “Dialogo Euro – Arabo”.

 

Dialogo Euro-Arabo: D. Tusk (EU) e Alsisi (Egitto)

 

Beneficiando della politica del dialogo, milioni di musulmani sono immigrati in Europa, dove hanno costruito centinaia di moschee e di potenti centri islamici, che esercitano un fondamentale influsso religioso, politico e culturale nei paesi d’accoglienza” (Bat Ye’Or, “Eurabia”, Lindau, Torino, 2007, pag. 34).

 

L’Islam entra nel salotto mondiale

In questo snodo storico contemporaneo, riteniamo che si collochi il riconoscimento dell’Islam come forza cosmopolita, dalle influenze globali (politiche) e globaliste (finanza, economia).

L’anello mancante che rendere possibile il grande progresso in campo internazionale (quindi in senso cosmopolita) è stato individuato nella solida amicizia con una nazione in particolare, membro del Consiglio delle Nazioni Unite: la Francia.

Negli anni ’60 molteplici fattori concorsero a cementare l’alleanza franco-araba: l’antiamericanismo e l’antisemitismo si univano al desiderio di potenza e di sviluppo economico che era lecito attendersi da una politica di collaborazione con il mondo arabo” (Ibidem, pag. 46).

 

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La Francia si allineò al fianco degli stati islamici mediorientali contro Israele, questa strana alleanza geopolitica fruttò a Parigi sostegno nei suoi traffici africani e nel resto del mondo musulmano.

 

La politica araba è volta ad estendere l’Islam in Europa

All’interno delle complesse comunicazioni politiche tra le nazioni occidentali, l’élite islamica si è movimentata con cura per

  • ottenere tecnologie industriali e militari
  • insediare in Europa una consistente popolazione musulmana che godesse di tutti i diritti garantiti agli autoctoni
  • radicare l’arabo-islamismo in termini culturali sociali e politici (Ibidem, pag. 72).

 

I vari accordi politici creati tra gli stati arabi mediorientali e la Comunità Europea hanno presentato il risvolto economico a vantaggio di alcuni stati europei, nonché i benefici di “protezione” dal terrorismo palestinese (si veda il nostro contributo dal titolo Il Lodo Moro)

 

La politica islamica mondiale

Lo scrittore francese Sylvain Besson pubblicò un libro inchiesta nel 2005 (“La conquête de l’Occident”, Parigi, Seuil) in cui svelò i piani, fino ad allora segreti, per instaurare la legge islamica in tutto il pianeta. L’inchiesta nacque a seguito del ritrovamento nel 2001 a Lugano di un documento, nella villa di un esponente di spicco del gruppo fondamentalista dei Fratelli Musulmani, tale Yusuf Nada.

Il documento è stato chiamato “il Progetto”, elenca le strategie e le tattiche per la creazione di una politica islamica mondiale (Ibidem, pag. 75).

Il libro di Besson ricevette enormi critiche, fu accusato di islamofobia da parte della sinistra francese ed europea, apertamente filoislamica e filopalestinese, pertanto il progetto editoriale finì nel dimenticatoio.

Solo nel 2018, la scrittrice di origini marocchine Souad Sbai riprese quella indagine dando alle stampe un nuovo saggio aggiornato, le cui informazioni pongono all’attenzione dell’Opinione Pubblica le reali intenzioni dell’élite islamica cosmopolita nelle relazioni politiche economiche con le nazioni europee (S. Sbai, “La conquista dell’Occidente dei Fratelli musulmani”, A. Curcio, Roma, 2018).

 

Cosmopolitismo islamico e Jihad

La politica internazionale nonché la geopolitica del mondo arabo islamico ha come obiettivo l’instaurazione del Jihad in ogni parte del globo. La politica espansionista islamica è squisitamente cosmopolita negli obiettivi, globalista nei metodi.

Per rafforzare gli sforzi espansionisti musulmani in Europa e Stati Uniti, l’élite islamica utilizza anche la rete del terrorismo islamista (fondamentalisti radicali), variabile casuale per l’Occidente che ne deve subire gli effetti. Il terrorismo islamico/islamista è il tentativo di imporre la Jihad in Occidente con le armi della paura.

Alcuni studiosi affermano che il terrorismo islamico/islamista sia stato originato dal conflitto israelo-palestinese. Siamo certi che la nascita dello stato d’Israele abbia contribuito massicciamente ad accrescere la cosiddetta “rabbia musulmana” verso l’Occidente, sebbene le origini di tale attrito siano molto più antiche (B. Lewis, “Le origini della rabbia musulmana”, Mondadori, Milano, 2009, pag. 305 e seg.; R. Guolo, “L’Islam è compatibile con la democrazia?”, Laterza, Roma Bari, 2007, pag. 17).

E’ vero, altresì, che L’Islam considera l’Occidente come l’insieme dei valori che esso detesta: individualismo, costituzionalismo, diritti umani, eguaglianza di genere, democrazia (R. Guolo, “L’Islam è compatibile con la democrazia?”, Laterza, Roma Bari, 2007, pag. 15).

Il complesso atto terroristico attuato il giorno 11 settembre 2001 negli Stati Uniti d’America è per molti studiosi l’emblema di ciò che l’Islam è nella sua essenza (Ibidem, pag. 14).

Tant’è che numerosi i testimoni hanno raccontato le scene di gioia e giubilo nei paesi musulmani, non solo dopo l’11 settembre 2001, ma anche in tutte le altre occasioni più recenti (Charlie Hebdo, Bataclan.)

 

Eurabia e califfato universale

La saggista britannica Bat Ye’Or ha chiamato Eurabia il progetto di infiltrazione ed espansione degli arabi musulmani in Europa, grazie agli strumenti del Cosmopolitismo. Interazioni e scambi politici, economici e sociali (diritti civili) tra gli stati musulmani e la Comunità Europea hanno permesso di creare insediamenti comunitari e posizioni di potere nel tessuto urbano delle moderne città globaliste in Europa (Bat Ye’Or, “Eurabia”, Lindau, Torino, 2007).

Si tratta di strategie appunto dette cosmopolite, che hanno l’obiettivo di ottenere il riconoscimento in ambito internazionale dell’Islam globalista.

Tesi affini sono state sostenute con forza e decisione anche dalla giornalista italiana Oriana Fallaci, la quale ha ricevuto indietro accuse poco credibili di essere islamofoba e razzista (O. Fallaci, “La rabbia e l’orgoglio”, Rizzoli, Milano, 2001; O. Fallaci, “Le radici dell’odio”, Rizzoli, Milano, 2015).

L’Europa ex cristiana, laica, cosmopolita è scesa a patti con l’élite islamica, sotto i colpi del terrorismo islamico/islamista, piegata dal peso dell’immigrazione di massa, abbindolata dagli investimenti ricchissimi riversati nei diversi settori economici.

La saggista Bat Ye’Or ha messo in guardia dalla strategia islamica che ha inesorabilmente creato l’Eurabia, che ora punta all’obiettivo del cosiddetto califfato universale: si tratta per l’appunto dell’espansionismo globalista dell’élite islamica ovunque, con il beneplacito della stessa Comunità Europea (UE / EU) sui tavoli del “Dialogo Euro – Arabo”(Bat Ye’Or, “Verso il califfato universale”, Lindau, Torino, 2009).

 

Infine, l’Islam è globalista

L’Islam desidera eliminare le frontiere dell’Europa, controllare le sue città globaliste, instaurare la Sharia, completando così la tanto desiderata conquista del continente a nord del Mediterraneo.

La contrapposizione si sposta in ambiente mediatico, a suon di articoli rassicuranti a favore dell’accoglienza. La stampa conformista racconta l’Islam come la religione della pace, in palese antitesi alla verità dei fatti proposta da ricerche, saggi, testimonianze (rimandiamo alla nostra recensione del saggio del filosofo francese M. Onfray “Pensare l’Islam”).

Chiunque si opponga alla narrazione conformista, imperante sulla stampa maggiore, è accusato di razzismo e di islamofobia.

 

 

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    Pubblicato da Il Sociale Pensa

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