La finanza spiegata facile

Finanza spiegata facile

Cosa è la finanza e come funziona, spiegato facile.

 

Finanza facile
Finanza

 

Di Enrico Tamburello

 

Introduzione: finanza, economia, politica

Faccio seguito all’articoletto sul debito pubblico cercando di approfondire alcuni concetti che servono per capire i fondamenti, su cui si muovono la nostra politica e la nostra economia. Oggi vorrei parlare di finanza, in modo semplice e senza parole difficili.

Spesso queste ultime sono usate per erigere uno scudo a coprire realtà che non si vuole siano capite, causando nell’ascoltatore/lettore una sensazione di confusione. Come per l’articolo precedente, il mio scopo non è certo quello di fornire una trattazione completa e scientifica dell’argomento, ma solo di muovere, in chi non l’avesse, un principio di interesse alla comprensione di cosa ci circonda e condiziona così pesantemente, le nostre vite in modo troppo spesso per noi misterioso.

 

Cosa è la finanza?

La finanza di per se è una nobile attività, ed è traducibile come la raccolta fondi per una determinata causa. In soldoni, l’arte di racimolare la grana. Il ragazzino che alla festa parrocchiale vende i biglietti della lotteria o la mamma, che alla festa della materna vende le torte, stanno, a tutti gli effetti, facendo gli operatori finanziari.

 

Finanza virtuosa…

Saliamo però di qualche gradino ed immaginiamo di essere una azienda che vuole espandersi: non è più sufficiente l’apporto di denaro del titolare per fare gli investimenti e siamo alla ricerca di nuovi fondi, come possiamo fare?

Potremo chiedere un prestito, ma poi è da restituire con gli interessi, oppure…oppure potremmo, soprattutto se la nostra azienda ha buon nome da spendere, provare a quotarla in borsa. In sostanza emetteremmo dei titoli il cui valore rispecchia quello della azienda, esporremmo i nostri piani agli investitori e se questi riscuotono interesse e il nostro nome desta fiducia, gli investitori decideranno di finanziare la nostra azienda tramite l’acquisto titoli.

L’investitore che acquista lo fa convinto della bontà della nostra proposta, con la prospettiva di veder crescere il valore dell’azienda e di conseguenza dei titoli che detiene, e quindi in ultima analisi di guadagnarci. Se invece l’azienda, nonostante le buone premesse va male, il suo valore, e quello dei titoli, scende: l’investitore avrà fatto un cattivo investimento e sarà in perdita. Ecco perché si dice che le attività finanziarie hanno un rischio, alcune più, altre meno.

Pertanto, niente di male nella borsa e nell’attività di compravendita di azioni, sono una legittima fonte di liquidi per le aziende che le emettono e una legittima fonte di guadagno per l’investitore, che col suo denaro ha permesso che l’azienda potesse crescere. Quindi, in questa ottica è buona cosa che la borsa cresca, significherebbe che il complesso delle azioni ivi quotate sta aumentando il valore.

 

…e finanza un po’ meno virtuosa

Quindi va tutto bene! Non proprio…

Se è vero che la borsa e la finanza nascono con questi intenti è però anche vero che esistono delle pratiche finanziarie che lavorano per garantire un guadagno scommettendo al ribasso. Mi spiego meglio: l’esempio portato sopra è quello di una finanza che definirei virtuosa, ovvero che tramite la collaborazione di azienda ed investitore fa guadagnare entrambi.

Ma se è vero che l’azienda ha come interesse primario la sua crescita, è anche vero che l’investitore ha come interesse primario il guadagno, potrebbe anche essere che della sorte delle aziende rappresentate dai titoli che ha in portafoglio gli importi solo nella misura in cui tragga utile.

In questo caso egli, per perseguire il suo interesse, cercherebbe strumenti che gli permettano di sfruttare sia i rialzi che i ribassi di un titolo. Questi strumenti si chiamano vendite allo scoperto, “short” in gergo tecnico.

Vendita allo scoperto” significa vendere un titolo di cui non ho la proprietà prima di comprarlo; la domanda che viene spontanea è: come faccio a vendere una cosa che non ho? Molto semplice, il titolo viene prestato da un altro operatore al venditore che lo piazza sul mercato quando pensa che scenderà di valore.

In soldoni, penso che l’azienda “x”, che oggi vale 100 domani varrà 80, mi faccio prestare 10 azioni e le vendo oggi a 100. Ho incassato 1000 ma devo 10 azioni al prestatore. Ricompro le azioni il giorno dopo ad 80, ho speso solo 800 e rimangono 200 di differenza: una parte la rendo come interesse insieme alle 10 azioni a chi me le ha prestate ed il rimanente è il mio guadagno. Questa procedura viene chiamata “covered short”.  Tutto chiaro fin qui?

 

Evitare un passaggio nella vendita allo scoperto

Molto bene, diciamo allora che non mi va di dare l’interesse a chi mi presta le azioni per il giochetto, e allora? Semplicemente non me le faccio prestare. Ovvero vendo una cosa che non ho né io né nessun altro.

Mi invento 10 azioni della ditta x e le vendo al valore odierno di 100, il giorno dopo le compro ad 80 e le consegno al compratore; la differenza di 200 euro è ora tutta nelle mie mani. Certo, il compratore potrebbe avere qualche difficoltà nel caso il titolo salisse a 120 ed io non avessi la differenza per comprare le azioni da dargli ma tant’è, le bancarotte da qualche parte usciranno fuori, no? Questa procedura si chiama “naked short”.

 

Problema morale? Non solo

Ora, è lecito fare un paio di considerazioni.

La finanza virtuosa di inizio articolo è senza dubbio auspicabile e giusta, è una procedura di crescita che ha i suoi rischi ma premia sia il lavoro che l’investimento. Essa genera un aumento dei capitali finanziari che corrispondono ad un reale aumento della ricchezza, ed è una finanza strettamente legata alla economia reale.

La finanza al ribasso qualche ombra di carattere morale ed economico probabilmente ce l’ha: lavorare in questo modo significa scommettere contro un titolo, ovvero scommettere sulla disgrazia di qualcun’altro. Quando faccio questo tipo di scommesse è evidente che non ho interesse che il titolo prescelto salga ma al contrario, farò di tutto perché il titolo scenda. Se sono un investitore domestico, che gioca in borsa per arrotondare, la mia azione non genera grossi problemi sul mercato.

Ma immaginiamo, così per amor di ipotesi, di essere una banca d’affari in grado di muovere qualche milione di euro alla volta. E immaginiamo che abbia individuato un titolo che sta attraversando un momento di difficoltà e di voler aprire una posizione ribassista: ora tutti sanno che più aumenta la disponibilità sul mercato di un titolo e più ne diminuisce il prezzo.

Chi mi impedisce di fare una bella vendita allo scoperto di qualche milione per far crollare il titolo e guadagnarci sopra ricomprandolo a molto meno il giorno dopo? Se ho i mezzi per farlo è mia convenienza farlo, se in questo modo metto in difficoltà l’azienda e tutti coloro che hanno investito in essa in modo virtuoso beh, tanto peggio per loro.

In questo modo inverto, di fatto falsando il mercato vendendo titoli che non esistono, il virtuosismo della prima finanza e creo un mostruoso meccanismo che scollega il valore di una azione dal reale stato di una azienda, facendo diventare i mercati delle entità che vivono di vita propria in un mondo proprio con regole proprie che però hanno un impatto a volte devastante sull’economia reale.

Di fatto, le vendite allo scoperto in alcuni paesi sono parzialmente limitate, proprio per la loro caratteristica di prestarsi alla speculazione, ma le normative sono quanto mai eterogenee sulle varie piazze e non risolutive del problema.

 

Vari prodotti finanziari

Se alle vendite allo scoperto aggiungiamo il fatto che oltre alle modalità di azione finanziaria descritte, esiste tutto il mondo dei prodotti finanziari venduti sul mercato, alcuni dei quali hanno i fondamenti più fantasiosi (esempio principe i famosi “derivati”, ovvero titoli che basano il loro valore su altri prodotti finanziari invece che su ricchezze oggettive), risulta evidente che parlare di finanza oggi significa parlare di qualcosa che esula di molto dalla reale sorgente di ricchezza, che è il tessuto economico composto dalla capacità produttiva di un territorio.

Si comprende, parimenti, come sia possibile che il valore della finanza mondiale sposti ogni anno più del PIL mondiale e perché vengano prese decisioni scellerate nelle economie dei vari stati, prigionieri di un sistema governato dai grandi operatori finanziari.

 

Operatori finanziari privi di etica

Se vogliamo fare una ultima considerazione possiamo aggiungere che questi ultimi non hanno etica, sono entità al di fuori di ogni controllo morale. Finché a capo di “qualcosa” c’è un uomo, si può sperare che a un certo punto la coscienza gli renda difficile prendere certe strade, ma quando non esiste un capo, ma solo consigli di amministrazione in cui il singolo è senza visione di insieme e non può vedere al di là del vantaggio del momento, si può ben dire che ci si trova di fronte ad un mostro senz’anima.

 

Chi deve fornire le regole del gioco

Ora che abbiamo almeno un idea del mondo parallelo in cui vengono attualmente decisi i nostri destini possiamo comprendere come la politica dovrebbe essere l’anima del mercato, dando a questi soggetti le regole del gioco, affinché i profitti siano a vantaggio della collettività e non fini a loro stessi, non nel senso di cieca condivisione ma nell’ottica di una finanza virtuosa e reale.

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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