La religione del consumo

Religione del consumo

Approfondimento su consumismo e iperconsumismo 

 

 

religione consumo
La religione del consumo

 

 

Ricorrenze profane

Abbiamo le date, ricorrenti tutto l’anno, che invitano a consumare. Certamente non si tratta di acquistare beni di prima necessità (pane, latte, zucchero, uova, frutta, verdura, carne), ma di rivolgersi a beni di livello superiore. Si parla di vestiti, articoli per la casa, strumenti informatici, smartphones. Siamo tentati di identificarli col termine beni voluttuari, a causa del senso loro intrinseco, che non si riconduce alla mera necessità imprescindibile.

Forse esistono, da qualche parte nel mondo, giorni in cui dei venditori offrono al pubblico beni primari a prezzi stracciati, tuttavia siamo quotidianamente informati delle promozioni su tutto ciò che primario non è.

Black Friday, Summer Black Friday, Cyber Monday, Prime day, Halloween, Christmas (Natale cosmopolita laicizzato) sono solo alcune delle ricorrenze scelte dal commercio per proporre offerte ai consumatori, sconti sugli acquisti, proposte per i regali.

I volantini con le proposte di acquisto arrivano via e-mail, sui canali “social”, affollano le “chat” private. Giungono anche in formato cartaceo nella cassetta postale.

Siamo invitati a consumare, a lasciarci invogliare dalle offerte di beni che altrimenti non sapremmo nemmeno che esistono. Siamo invitati a consumare soprattutto nelle ricorrenze create dal commercio e in vista di quelle che i grandi marchi hanno strumentalizzato (uno su tutti il santo Natale).

 

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Rituale di consumo

Facciamo un parallelo tra le religioni tradizionali (che trattano il Sacro, il rapporto tra ciò che è divino e la persona uomo/donna) e il consumo, che vorremmo individuare nel rito: attività e pratiche stabilite, ripetibili, valide per tutti coloro che vi partecipano. Si tratta di funzioni che creano un corpo sociale, che uniscono idealmente le persone in un più grande gruppo.

Il rito crea appartenenza sociale all’interno di un luogo specifico. I rituali sostengono i valori dei vari gruppi, delle comunità, inoltre forniscono indirizzi per organizzare le attività quotidiane.

Tutte le istituzioni sociali si basano sul comportamento rituale per sostenere i propri valori e la consapevolezza di chi vi partecipa della loro autorità. (…) Benché i rituali spesso mirino a mantenere un ordine sociale e conservare vecchie abitudini, essi sono fondamentali, comunque, per le rivoluzioni culturali ed i cambiamenti. (…) I partecipanti al rito abbandonano il tempo e lo spazio materiale ed accedono ad una regione sacra in cui i travagli della vita quotidiana – segnati da dolore e ingiustizia – vengono risolti o anche negati” (Kurtz, 2000).

Il concetto di rituale si riferisce inizialmente alla pratica religiosa, poiché è con essa che nasce. In seguito, il rituale diventa pratica profana e si relativizza, può essere riferita anche alle attività non sacre.

Pertanto, il consumo si accosta al rituale religioso in quanto ne mutua le modalità: ci si reca in un luogo ad esso adibito, secondo tempi prescritti, ci si unisce ad altri partecipanti all’evento, si crea una memoria degli accadimenti. Durante il rituale del consumo, i partecipanti subiscono una certa fascinazione. Il consumo è ripetibile, come appunto un rituale religioso.

 

Gli ambienti di consumo

Uno degli elementi più importanti relativi al consumo e al consumismo è sicuramente il contesto nel quale le persone spendono. Adottiamo la denominazione “nuovi strumenti di consumo” (Ritzer, 2000) per indicare tutti gli ambienti in cui le persone possono trovare beni e servizi, senza omettere che quegli ambienti sono “strutturati per indurci o perfino per costringerci a consumare” (Ibidem).

Correlata alla denominazione indicata, esiste l’espressione “cattedrali del consumo” (Ibidem), la quale aggiunge al luogo di consumo la natura semi religiosa, pseudo mistica, incantata, perché presso di esse i visitatori si recano in “pellegrinaggio”, per praticare i rituali della religione laica del consumo.

Esempi di quei luoghi sono gli Outlet, i grandi Centri Commerciali, gli Ipermercati, le Multisale cinematografiche (Multiplex), i grandi parchi di divertimento (Gardaland, Mirabilandia, Disneyland), gli aeroporti internazionali, le navi da crociera.

I luoghi chiamati strumenti di consumo sono a tutti gli effetti non luoghi, ossia spazi urbani privi di senso di appartenenza, senza una storia antropologica, anonimi (Augè, 1996).

Ciononostante, i nuovi strumenti di consumo – anche nella loro accezione di cattedrali del consumo – sono visitati copiosamente da grandi masse di persone.

 

Religione del consumo
Un esempio di centro commerciale cattedrale del consumo.

 

Ambienti virtuali

Chiunque è potenzialmente un consumatore, chiunque è bersaglio della pubblicità in qualsiasi forma. In particolare, ogni individuo titolare di indirizzo e-mail è destinatario di messaggi pubblicitari, soprattutto non richiesti. Ogni profilo sui social network riceve comunicazioni relative a promozioni virtuali. I messaggi recano un “link” (indirizzo internet) di un negozio virtuale. E’ “l’E-commerce”, il famigerato commercio elettronico, vetrina di migliaia di articoli ma anche di sedicenti servizi rigorosamente in lingua inglese, potenzialmente sospetti.

Ogni “internet store”, qualunque sito internet che vende beni e servizi è uno strumento di consumo. E’ anch’esso un luogo presso cui acquistare e consumare, benché non sia fisico ma apparente su un video informatico.

L’unica differenza rispetto ai luoghi fisici dove si consuma, è la distanza temporale necessaria a ricevere materialmente il prodotto nelle mani. Sempre che non si sia interagito con un “E-commerce” fasullo, truffaldino.

Il settore distributivo punta molto sul commercio online, al pari dell’attrazione al super/iper mercato, al discount, al mega centro commerciale vero e proprio. Si può acquistare un frigorifero presso la famosa catena specializzata oppure cliccando sulla promozione arrivata per e-mail. Con la diffusione massiccia degli smartphone e delle “App” dedicate è tutto diventato facile e veloce, per alcuni è pure divertente.

 

Il tempo del consumo

Prima dell’avvento dei grandi luoghi d’acquisto, prima che l’economia fornisse il benessere necessario agli acquisti voluttuari (non indispensabili), il tempo del consumo coincideva con la soddisfazione dei bisogni come il cibo, il vestiario, i medicinali, il carburante per gli spostamenti. La sezione temporale segnata dalla maggiore disponibilità di risorse personali ha creato uno scenario nuovo, con protagonista il desiderio di altri beni e servizi.

Gli agenti del commercio hanno colto immediatamente l’occasione affidandosi alla pubblicità, per far conoscere al vasto pubblico l’esistenza di prodotti desiderabili, oltre i bisogni primari.

Il tempo del consumo è iniziato inaugurando l’obiettivo del bene voluttuario, che la gente si può permettere grazie ai propri aumentati guadagni. Nello stesso flusso temporale, si è gradualmente perso il senso/valore d’uso dei prodotti, per accogliere la generalizzazione degli stessi nel valore di scambio: diventa più importante la capacità di acquisto.

I prodotti e i servizi sono interscambiabili e sostituibili, hanno vita più breve e minore probabilità di riparazione: una lavatrice e uno smartphone costano meno nuovi che la riparazione necessaria a ripristinarne il funzionamento.

 

Il prestabilito tempo del consumo

Le persone sono chiamate a consumare in tempi prestabiliti: compleanni di amici e parenti, matrimoni, Natale, San Valentino. In aggiunta, sono state create speciali occasioni moderne, proprie del settore commerciale e distributivo: il Black Friday, il Cyber Monday, il Red Friday, il Prime Day.

Ogni catena commerciale promuove prodotti usando la pubblicità in maniera massiccia. Il consumatore è indotto a comprare, le promozioni instillano in lui desideri e necessità prima inesistenti.

Sono soprattutto i prodotti tecnologici a inondare i canali pubblicitari: computer, tablet, smart watch, smart glasses, smart tv.

I saldi di fine stagione sono gli antesignani degli attuali periodi (ritualizzati) di promozione, tempo di occasioni e meno di pressione.

La pubblicità non dimentica il tempo della vacanza, preme sul pubblico con immagini di splendidi luoghi da visitare grazie ai servizi turistici.

 

Iperconsumismo

Dal consumo si è passati al consumismo per giungere all’iperconsumismo, potenziale pericolo per chiunque non sia molto ricco.

L’iperconsumismo della cultura contemporanea si caratterizza per l’inclinazione a spendere la maggior parte dei propri guadagni, se non tutti, nell’acquisto di beni e servizi (Ritzer, 2000).

Il settore finanziario ha dato il proprio contributo, rendendo disponibili carte di credito e di debito, con le quali agevolare gli acquisti con pagamento immediato o dilazionato.

L’esempio antologico dell’attrazione è la coda della gente che attende di comprare il nuovo modello di smartphone, di tablet, di televisore appena pubblicizzato, accettando prezzi esorbitanti.

Il pellegrinaggio presso la cattedrale del consumo si svolge, come già accennato, secondo tempi collettivi, con l’ossequio pseudo religioso all’oggetto desiderato, con la speranza di ottenerne uno.

La folla incantata scatta dentro la cattedrale quando si aprono le porte e corre agli scaffali. Non sono inusuali le scene di individui caduti in ginocchio nel tentativo di afferrare uno degli ultimi televisori scontati.

 

La religione del consumo
Ossequio all’oggetto desiderato

 

Celebrazione dell’oggetto

Riteniamo sia indispensabile puntualizzare che, nell’atto rituale del consumismo e dell’iperconsumismo, l’orientamento della persona sia all’oggetto in quanto tale. Si tratta della celebrazione dell’oggetto (Baudrillard, 1976), partendo dalla pubblicità per giungere alle vetrine scintillanti dei luoghi di acquisto.

I tempi promozionali proposti/imposti dagli agenti commerciali conducono il pubblico a vivere il proprio tempo in riferimento agli oggetti: nuovi e “vintage”. Siamo tutti sottoposti all’attrazione dell’accumulo.

Nell’accumulo vi è qualcosa di più della semplice somma dei prodotti: e cioè l’evidenza del surplus, la negazione magica e definitiva della penuria, la presunzione materna e lussuosa del paese di Bengodi” (Ibidem).

L’oggetto è proposto in modo seducente, attraente, elemento finale ma non ultimo in assoluto del rituale odierno, nella vita quotidiana. L’acquisto dell’oggetto porta felicità, un senso di benessere tanto pervasivo quanto effimero.

Ad ogni modo, “il consumismo associa la felicità non tanto alla soddisfazione dei bisogni (come tendono a far credere le sue «credenziali ufficiali»), ma piuttosto alla costante crescita della quantità e dell’intensità dei desideri, il che implica a sua volta il rapido utilizzo e la rapida sostituzione degli oggetti con cui si pensa e si spera di soddisfare quei desideri” (Bauman, 2010).

Poi c’è l’oggetto esclusivo, la cui aggiudicazione è una questione di importo: ostentazione di status sociale e frustrazione per chi non se lo può permettere. In questi termini si interrompe la mistica dell’uguaglianza, nel confronto taciuto tra chi ha ampie risorse economiche e chi no. I non abbienti rimangono sul principio di valore d’uso dell’oggetto e al massimo rincorrono l’imitazione a buon mercato del costoso oggetto del desiderio.

Abbiamo di fronte l’instabilità dei desideri e l’insaziabilità dei bisogni.

 

Considerazioni

La persona è qualificata come consumatore, diventa oggetto di pressione via via crescente da parte della pubblicità del settore commerciale. Il suo tempo diventa di consumo, di beni e di servizi.

La religione del consumo nasconde il fatto che lo stesso consumo esiste in funzione della produzione e della vendita, mentre il consumatore acquista in funzione del proprio godimento, per soddisfare i propri bisogni (Baudrillard), specialmente indotti dalla pubblicità e dalle relazioni sociali.

Le festività religiose del calendario sono state deviate dal loro significato originario dal sistema di mercato, il quale ha poi introdotto nuove ricorrenze artificiali al solo scopo di aumentare il volume delle vendite, sotto ogni forma.

Il consumismo e l’iperconsumismo sono le forme della moderna società dei consumi, coerenti con le logiche del mercato.

A differenza del consumo, che è soprattutto caratteristica attività di singoli esseri umani, il consumismo è un attributo della società” (Bauman, 2010).

 

Per approfondire

Come beni senz’anima

Il consumo è sociale

 

 

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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