Osservare il disagio

il disagio

Disagio personale, disagio sociale, disagio nel sociale:

la sofferenza individuale

 

 

il disagio
Il disagio è nel sociale

 

 

 

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l’incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Eugenio Montale, “Ossi di seppia”, 1925

 

La sofferenza latente

Agio significa benessere psicologico e fisico; il suo contrario si chiama disagio e indica una condizione difficile, di malessere generale o specifico.

Il disagio identifica una difficoltà in bilico tra il personale (psichico) e il sociale, lo stress da vita moderna è solo un banale esempio.

La sofferenza individuale condiziona l’esistenza di numerose persone, apparentemente si tratta di specifiche fasce sociali, seppure sia più pertinente affermare che il disagio minacci potenzialmente l’intero panorama umano, secondo modalità diverse (M. Castrignano, “Le radici del disagio in una società assente”, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 9).

Il disagio individuale rimane nascosto, latente rispetto alla divulgazione pubblica, numerose persone tengono per loro la situazione di sofferenza, non ne parlano facilmente.

Lo studio del disagio umano è un affascinante argomento di studio, parimenti alla sua tremenda presenza nelle vite cosiddette normali.

 

Il disagio concreto

Le sofferenze che minacciano gli individui nella società moderna hanno nomi diversi e altisonanti. Sono appannaggio di studio e trattamento da parte di branche scientifiche precise, che di solito sono tutte di matrice psicologica, psicoanalitica e medica.

Nel concreto, si parla di stress, depressione, psicosi, nevrosi, tendenze suicide, tossicodipendenza, alcolismo, tabagismo, pedofilia, anoressia e bulimia, follie e perversioni, devianza criminale (C. Baraldi, “Il disagio della società”, Angeli, Milano, 1999, pag. 17, 62).

Aggiungiamo anche la povertà urbana grave e la conseguente emarginazione sociale (P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi, “Gli esclusi dal territorio”, Angeli, Milano, 1997).

Il filo che unisce idealmente tutte quelle cause di sofferenza pare essere di un’unica matrice, ossia sociale.

 

Il disagio è urbano?

Essendo la sofferenza umana una condizione che potrebbe potenzialmente colpire chiunque, potremmo ipotizzare che anche in ambiente rurale si possano osservare casi di disagio.

Ad ogni modo, dobbiamo considerare che nell’ambiente di campagna le condizioni di vita sono effettivamente più semplici, meno vorticose, con standard di vita più sani che in città; in campagna si sperimentano tuttora relazioni di tipo comunitario.

Inoltre, gli studi sul disagio riguardano tradizionalmente l’ambiente urbano, perché in città nel tempo si sono riversati grandi numeri di persone. Perché in città sono ubicati i centri amministrativi direzionali, commerciali, politici, finanziari, culturali.

La città attrae le persone con le sue luci e le sue opportunità, vere o presunte. La città è l’ambiente caratteristico del denaro, dei mercati, dei piaceri (G. Simmel, “Il denaro nella cultura moderna”, Armando, Roma, 1998).

La metropoli, massima espressione dell’ambiente urbano moderno, ha nella frenesia il suo aspetto di prima vista. L’intensificazione dell’attività nervosa degli abitanti della città è la base psicologica fondamentale delle individualità metropolitane.

 

Opportunità e stimoli urbani

La città offre tantissime sollecitazioni nervose ai suoi abitanti e a tutti coloro che vi trascorrono del tempo. Ma le persone sono astratte a numeri, sono generalizzate come gli scambi economici e monetari, che hanno nella città la loro sede principale. Il tempo è denaro, non sono ammesse distrazioni in affari, come nel resto della vita urbana.

Le relazioni tra le persone sono improntate alla complessità sociale, allo stesso modo del territorio urbano che li ospita. La vita in città è complessa, offre un panorama pressoché infinito di possibilità, ma non è facile scegliere.

Gli stimoli nervosi forniti dall’ambiente metropolitano (opportunità, denaro, piaceri) rendono le persone incapaci di reagire adeguatamente. Quelle persone diventano blasé, ossia non sono più in grado di affrontare gli stimoli nervosi con la necessaria abilità e prontezza. Alle persone blasé tutto appare grigio e opaco, senza interesse, perché ormai hanno già visto e provato di tutto (G. Simmel, “La metropoli e la vita dello spirito”, Armando, Roma, 1995, pag. 35-44).

La città offre opportunità ma condiziona le persone, con il suo tipo di vita crea stress, tensione, nevrosi, pressione (L. Wirth, “L’urbanesimo come modo di vita”, Armando, Roma, 1998, pag. 73).

In città lo studio del disagio ha trovato tempo e luogo.

 

La società e il disagio

Le persone soffrono un disagio, pertanto il disagio è personale. E’ possibile osservare conseguenze sociali del disagio individuale, a seguito di condotte deviate delle persone. Sempre più spesso gli individui tendono a celare il loro disagio, opponendo condotte apparentemente normali (M. Castrignano, “Le radici del disagio in una società assente”, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 10).

Gli studi sul disagio hanno considerato in maniera preponderante il rapporto individuo e società.

Si parte dal presupposto che la società sia fatta di individui” (N. Luhmann, R. De Giorgi, “Teoria della società”, Angeli, Milano, 1995, pag. 11) con tutte le riflessioni e le distinzioni che si possono trovare in letteratura.

Ma la società non vive come gli individui, non cambia il suo peso se gli individui nascono o muoiono. La società trascende gli individui (Ibidem, pag. 14). La società è un sistema complessivo, la cui operazione fondamentale è la comunicazione (Ibidem, pag. 26).

L’individuo è considerato dalla società solo se partecipa alla comunicazione (M. Castrignano, “Le radici del disagio in una società assente”, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 17-18).

 

Ipotesi consolidata sull’origine del disagio

Il disagio come difficoltà ad essere parte integrante del sistema sociale; oppure, come meglio altri studiosi sostengono, difficoltà a trovare un senso nel sociale” (P. Guidicini in M. Castrignano, “Le radici del disagio in una società assente”, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 5).

 

Appartenenza sociale

Far entrare l’individuo nella società significa ragionare secondo il modello “tutto/parte”, dove il primo è un componente del tutto, cioè la società. Sentirsi o effettivamente essere parte di un qualcosa di più grande (un sistema, un’associazione, un agglomerato di persone) delinea l’appartenenza di quella persona, di tutte le persone incluse.

Sulla base della forma che assume la sua appartenenza sociale l’individuo può costituire la sua specificità” (M. Castrignano, “Le radici del disagio in una società assente”, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 12-13).

L’appartenenza sociale crea le basi per la costruzione della identità personale, poiché è una delle condizioni dell’interazione e del confronto: ci si confronta con gli altri per stabilire una distinzione da loro.

Insieme all’interazione, al confronto, serve un sistema culturale di valori per creare la personalità individuale, connesso all’appartenenza. Riassumendo, l’individuo diventa parte della società mediante l’appartenenza socio-culturale (Ibidem, pag. 13).

 

Riconoscimento della specificità individuale VS omologazione

Idealmente, la società fornisce agli individui gli elementi socio-culturali per diventare parte della sua sfera di influenza (il suo ambiente). Mediante la socializzazione, l’identificazione e l’interiorizzazione ogni individuo può utilizzare il comune sistema dei valori culturali per relazionarsi e distinguersi dagli altri, per stabilire una differenza rispetto agli altri, per ottenere una propria specificità unica e irripetibile. In quella sfera ideale, la società garantisce a ogni individuo la legittimazione della sua identità (Ibidem, pag. 14).

 

Società complessa e proliferazione dei diversi sistemi sociali

Tuttavia, la realtà è caratterizzata dalla società detta complessa, differenziata per funzioni, nella quale ogni sfera di azione è un vero e proprio sistema sociale, con propri codici di comunicazione, propri modi di operazione specifici. Non c’è un sistema di valori ultimi generalmente valido per tutti i vari sistemi sociali di cui è composta la società stessa (Ibidem, pag. 15).

L’economia e la politica sono esempi tradizionali di sistemi che operano per loro conto (si dice che sono operativamente chiusi), traggono dal loro interno le risorse di cui hanno bisogno, ma tra loro comunicano, eccome se comunicano (N. Luhmann, R. De Giorgi, “Teoria della società”, Angeli, Milano, 1995, pag. 30-32, 304).

Hanno al loro interno codici di comunicazione specifici: l’economia usa il denaro, la politica usa il potere (C. Baraldi, G. Corsi, E. Esposito, “Luhmann in glossario”, Angeli, Milano, 1996, pag. 103, 175).

 

Complessità sociale

Le persone devono conoscere i codici di comunicazione dei sistemi sociali nei quali vogliono agire, non basta più un solo sistema di valori, non è sufficiente. Esiste pertanto una pluralità di codici comunicativi ugualmente rilevanti, che coesistono, che reclamano la loro funzione necessaria (C. Baraldi, “Il disagio della società”, Angeli, Milano, 1999, pag. 43).

La società ha così imposto un modello di individuo necessariamente omologato ai vari sistemi sociali, non gli garantisce più una sua specificità unica e irripetibile: il sociale generalizza tutti e tutto (G. Piazzi, “La ragazza e il direttore”, F. Angeli, Milano, 1995, pag. 95).

Il tempo della vita quotidiana è diviso tra il tempo sociale e il tempo personale (psichico individuale), si capisce immediatamente che le due categorie non sono conciliabili (M. Castrignano, “Le radici del disagio in una società assente”, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 18).

In sostanza, vengono a mancare tempi e modi affinché ogni individuo possa trovare un suo posto nella società (identificazione), diciamo nel sociale tout court.

La complessità sociale crea grandi difficoltà agli individui nel creare un buon equilibrio tra la psiche e la vita sociale. La società offre meno norme universalmente valide, meno istruzioni sociali, numerosi sistemi sociali distinti, il tutto crea identità individuali precarie o simulate. Ogni individuo si deve rivolgere a sé stesso per creare in modo autonomo la propria identità (Ibidem, pag. 21-22).

Lo stress causato da quella situazione crea naturalmente disagio negli individui.

 

Gli interessati al disagio

Gli studiosi che si sono occupati, e che si occupano tuttora, del disagio sono innumerevoli: psicologi, psicoanalisti, psicoterapeuti, psichiatri, medici, pedagogisti, educatori professionali, assistenti sociali, sociologi, volontari assortiti.

Il disagio è un problema sotto generale osservazione. Tra devianza e variabili psichiche, il dibattito si è arricchito di vari contributi, ma si è tornati al punto di partenza: il sociale.

Se i sociologi hanno avuto seri problemi nel prendere le distanze dalle teorie psicologiche, non si può certo dire che la psicologia abbia ignorato le variabili sociali. L’ambiente sociale è sempre stato un problema per la psicologia ed una corrente importante della psicoterapia è giunta alla conclusione che i disturbi sono nella relazione.

Alcuni sviluppi di questa tendenza non riconoscono neppure più una realtà veramente psichica del disagio: il disagio è ormai una narrazione sociale” (C. Baraldi, “Il disagio della società”, Angeli, Milano, 1999, pag. 17-18, 20).

 

Osservare il disagio

E’ necessario osservare il disagio come connessione tra gli aspetti sociali ed individuali (Ibidem).

Sostanzialmente, potremmo affermare che crea disagio la differenza che passa tra ciò che gli individui vogliono fare e ciò che invece le norme sociali (indistinte, varie, specifiche di ogni sistema sociale) consentono di fare: affettività e sessualità sono ottimi esempi di come funziona quel meccanismo (Ibidem, pag. 22-23).

 

Individualismo, solitudine, stress da sociale

La moderna società complessa costringe l’individuo a crearsi da solo una sua identità, senza un aiuto normativo esterno (della società per l’appunto).

La società si aspetta che l’individuo si conformi alle diverse comunicazioni richieste dai diversi sistemi sociali (la scuola, la politica, l’economia, il luogo di lavoro, eccetera). L’individuo quindi viene trattato come singolo specifico nella comunicazione, non è più parte di un “noi”, ma gli è richiesto di essere flessibile e agire come singolo (Ibidem, pag. 43-44).

L’individualismo è uno dei tratti peculiari dell’uomo moderno, nelle complesse società occidentali (Ibidem, pag. 55).

Nonostante si prodighi per entrare e uscire dai diversi sistemi sociali attivi, l’individuo sperimenta a vari livelli la sensazione di essere solo. Tecnicamente, la solitudine è causata da una carenza di inclusione nella società (Ibidem, pag. 57).

Saltare da un sistema sociale all’altro richiede una abilità non irrilevante, saper usare correttamente i codici di comunicazione può causare uno stress importante.

Per relazionarsi con gli altri, nei vari sistemi sociali, è necessario recitare una parte e fare attenzione a quel che si dice (E. Goffman, “La vita quotidiana come rappresentazione”, Il Mulino, Bologna, ed. 2009, pag. 11, 17-19, 33).

 

Il disagio
Relazioni sociali e disagio

 

Ignorare il disagio

Il disagio si osserva principalmente in città, l’ambiente urbano è il suo habitat naturale per cause intrinseche alla vita urbana.

La vita sociale urbana crea stress e tensioni, che conducono a difficoltà personali e a reali patologie psicologiche.

Le sofferenze individuali, che rispondono alla definizione di disagio, sono per la maggior parte latenti, nascoste per scelta delle stesse persone colpite.

Le incongruenze create dalla moderna società occidentale, differenziata per funzioni, evidenziano che il disagio individuale ha origine nella società stessa, nella difficoltà di gestire contemporaneamente la pluralità dei sistemi sociali, nella sempre più effimera e precaria identità individuale promossa dal sociale.

E’ questa la complessità sociale che pervade la vita urbana moderna.

L’osservazione del disagio e il suo trattamento sono campi ad esclusiva gestione delle scienze psicologiche.

Parole come individualismo, solitudine, stress, ansia, indifferenza, blasé, in sostanza il disagio, sono ben conosciute dagli specialisti, ma ignorate dalla massa dei cittadini urbani che ne sperimentano gli effetti.

 

Approfondimenti

S. Freud, “Il disagio della civiltà e altri saggi”, Bollati Boringhieri, Torino, 1991

G. Pieretti, “Il disagio sommerso”, Quattroventi, Urbino, 1996

P. Guidicini, G. Pieretti, “I volti della povertà urbana”, Angeli, Milano, 1992

C. Baraldi, G. Piazzi, “Costruzioni sociali del gruppo”, Quattroventi, Urbino, 1996

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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