Tom Bombadil

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Tom Bombadil arrivò trotterellando dall’altro lato della casa, agitando le braccia come per proteggersi dalla pioggia: e quando varcò con un balzo la soglia, pareva davvero asciutto, eccetto che per gli stivali, che si tolse e posò in un angolo del camino. Quindi si sedette nella poltrona più comoda e chiamò gli Hobbit intorno a sé.

“Oggi è il giorno in cui Baccador fa il bucato”, disse, “e le pulizie autunnali. Troppo umido per degli Hobbit: è meglio che si riposino un po’, dato che ne hanno l’opportunità! E’ un giorno adatto per i lunghi racconti, per le domande e le risposte, e Tom incomincerà dunque a narrare”.

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         Man mano che ascoltavano, cominciarono a capire la vita della Foresta, una vita distaccata da loro, indipendente e armoniosa, e si sentirono estranei, in un mondo a sé. Il Vecchio Uomo Salice era costantemente presente nei discorsi di Tom, e Frodo apprese molto sul suo conto, tanto da soddisfare la sua curiosità e da riempirsi d’inquietudine, poiché non erano certo notizie confortanti. Le parole di Tom mettevano a nudo il cuore e i pensieri degli alberi, che erano spesso cupi e bizzarri, pieni di odio per tutto ciò che cammina liberamente sulla terra e che rode, morde, strappa, rompe, sega, brucia: distruttori e usurpatori. Non a caso veniva chiamata Vecchia Foresta, poiché era estremamente antica, l’ultima superstite di immensi boschi dimenticati. In essa vivevano ancora, invecchiando insieme alle brulle colline, i padri dei padri degli alberi, memori dei tempi in cui erano ancora loro i signori. Gli innumerevoli anni li avevano riempiti di orgoglio, di profonda saggezza, ma anche di malizia.

(pag. 176-178)

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Quando finalmente riuscirono a concentrarsi di nuovo su ciò che diceva il vecchio Tom, scoprirono che aveva percorso molta strada, giungendo in strane regioni al di là della loro memoria e del loro pensiero cosciente. , in tempi quando il mondo era più vasto e le acque scorrevano direttamente alla Spiaggia occidentale. E Tom continuava cantando a risalire le epoche, fino all’antica luce stellare, quando solo i padri degli Elfi vegliavano. Poi all’improvviso smise di parlare, e videro che la testa gli cominciava a ciondolare, come se stesse per addormentarsi.

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Frodo non riusciva a capire se mattina e sera si fossero alternati per uno o più giorni. Non si sentiva né stanco né affamato: soltanto colmo di meraviglia. Le stelle brillavano attraverso la finestra e il silenzio dei cieli sembrava circondarlo. Finalmente riuscì a vincere il suo rapimento e parlò, come colto da un’improvvisa paura del silenzio.

“Messere, chi sei?”, gli chiese.

“Eh, cosa?” disse Tom raddrizzandosi mentre i suoi occhi rifulgevano nella tenebre. “Non conosci ancora il mio nome? Questa è l’unica risposta. Dimmi: chi sei, solitario, essere senza nome? Ma tu sei giovane ed io molto vecchio. Il più anziano, ecco chi sono. Ricordate, amici quel che vi dico: Tom era qui prima del fiume e degli alberi; Tom ricorda la prima goccia di pioggia e la prima ghianda. Egli tracciò i sentieri prima della Gente Alta, e vide arrivare la Gente Piccola. Era qui prima del Re e delle tombe e degli Spettri dei Tumuli. Quando gli Elfi emigrarono a ovest, Tom era già qui, prima che i mari si curvassero; conobbe l’oscurità sotto le stelle quand’era innocua e senza paura: prima che da Fuori giungesse l’Oscuro Signore”.

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Tom s’inchinò verso i suoi ospiti: “La cena è pronta”, disse Baccador, e gli Hobbit videro allora che era tutta vestita d’argento, con una cintura bianca, ed i calzari di un tessuto a squame di pesce. Tom era invece tutto in azzurro limpido, azzurro dei non-ti-scordar-di-me lavati dalla pioggia, e le sue calze erano verdi.

(pag. 179-180)

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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