Avvalersi del silenzio

Avvalersi del silenzio

Il silenzio comunica sempre delle informazioni 

 

 

Avvalersi del silenzio
Fare silenzio

 

 

 

Cercare la visibilità

Nell’attuale società, numerosi soggetti urlano al pubblico e in pubblico per avere attenzione e visibilità. Quelle persone desiderano essere al centro dei riflettori, alzano la voce per ottenere ragione.

Il silenzio assume una valenza ancora più importante, a favore di coloro che ne conoscono l’efficacia.

 

 

Contenuto del silenzio

Tacere ha contenuti diversi rispetto al contesto, alla dinamica della comunicazione, all’evoluzione del confronto. Restare in silenzio può comunicare risentimento, disapprovazione, ostilità. In altre situazioni, non dire una parola può significare di aver perso il confronto dialettico. Annuire con la testa assieme a un largo sorriso omaggia il destinatario di considerazione e apprezzamento.

 

 

Strumento di comunicazione

Il silenzio comunica sempre un contenuto di senso, se due o più persone stanno zitte solo in apparenza non comunicano e affermare che non comunichino è una falsa interpretazione.

Riprendiamo di nuovo Watzlawick (P. Watzlawick et altri, 1971) per riaffermare che è impossibile non comunicare, «non è possibile non avere un comportamento».

Il silenzio, al pari del gesticolare, del muovere il corpo, del sorridere e pertanto del parlare, è uno strumento di comunicazione. Esso si usa per dividere le parti del colloquio, le pause tra una dichiarazione e l’altra hanno significati da decifrare. Esso si usa per mettere in difficoltà l’interlocutore. Esistono situazioni che prevedono il silenzio in maniera rituale, obbligatoria, rompere quell’aspettativa porta conseguenze sociali e morali.

Il silenzio è uno strumento alquanto efficace e complesso, che commenta ogni situazione, che porta notizie, che consegna chiavi interpretative dei fatti in corso.

 

 

Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche.

JEAN-PAUL SARTRE

 

 

Biasimo generale

Feste, banchetti, ricevimenti e incontri mondani sono scenari in cui, facilmente, si verificano violazioni della decenza. In pubblico è comunemente richiesto un certo decoro, in maniera implicita, per evitare figuracce. Gli invitati e i lavoratori di servizio stanno bene attenti ad osservare il vigente protocollo di comportamento. Non è necessario scomodare l’alta società per citare casi di biasimo collettivo (si legga a tal proposito Goffman).

Il caso dell’ubriachezza molesta è conosciuto in molti ambienti. Quando la persona alterata dall’alcool esce allo scoperto, il pubblico attorno si allontana facendo calare un silenzio imbarazzante; se tutta la sala è coinvolta nella brutta situazione, la musica si ferma, l’intera platea fissa in silenzio il disturbatore. Solitamente, un incaricato si avvicina e lo convince ad uscire con le dovute maniere. La scena si svolge classicamente nel silenzio più tenebroso, che significa biasimo profondo e disapprovazione.

Un copione simile si può attivare nel caso di uno studente irrispettoso dell’aula, oppure considerato antipatico o fuori casta.

 

 

Non proferire parola

Restare in silenzio equivale a non fare commenti. Nelle conversazioni, succede che un partecipante usi frasi offensive per colpire qualcuno, è un modo di provocare una reazione per mettere quella persona in cattiva luce davanti al pubblico. La persona offesa spesso reagisce con rabbia, assumendosi il rischio – conscio o inconscio – di esagerare. Nella stessa misura ci si dimentica del valore delle parole (“una parola è poca, due sono troppe” recita un proverbio) come dell’opportunità di rimanere in silenzio. Corroborato da sguardi severi, il silenzio assume una straordinaria efficacia: comunica all’interlocutore di aver fatto un grave errore, serve a fargli capire di disapprovare un suo atteggiamento oppure un suo comportamento, lesivi della reciproca relazione.

La tecnica del silenzio aiuta la persona a non farsi coinvolgere in situazioni spiacevoli di provocazione, conduce alla focalizzazione su esclusivamente le informazioni utili e oggettive.

 

 

Disconferma

Si usa il silenzio come strumento per annullare il potenziale interlocutore indesiderato. Si resta in silenzio di fronte alle parole della persona con la quale non vogliamo interagire.

Il silenzio è l’arma della disconferma, per disconoscere la persona ostile e/o indesiderata. Quando non desideriamo relazionarci con qualcuno, quando vogliamo scrollarci di dosso una presenza ingombrante, restiamo in silenzio e abbandoniamo il campo, non riconosciamo quella determinata persona, la neghiamo.

Un caso emblematico è lo scontro verbale, ossia una situazione instabile durante la cui manifestazione due o più persone passano dal discutere all’azzuffarsi. Socialmente non è accettabile che le persone dirimano le controversie usando la violenza, purtuttavia i racconti di percosse fisiche non sono rari.

Vanno evitate le provocazioni e la comunicazione violenta, di fronte alla degenerazione del confronto (insulto, offesa) è consigliabile abbandonare il campo e disconfermare la persona ostile con il silenzio.

 

 

Fare scena muta

E’ un modo di dire usato spesso durante le interrogazioni scolastiche e durante gli interrogatori giudiziari. In entrambi i casi, la persona sottoposta a domande non risponde, non parla, resta muta.

Nel caso scolastico, l’interrogato che fa scena muta ottiene un brutto voto e la disapprovazione dell’esaminatore. Al contrario, il sospettato che fa scena muta davanti agli inquirenti e al giudice non vuole aggravare la propria condizione di accusato, teme che parlare significhi dare informazioni a proprio danno. Tra gli inquirenti e l’accusato si gioca una partita a scacchi, le cui mosse hanno come fine per i primi di estorcere informazioni al secondo, che si difende col silenzio e con risposte fuorvianti (K. Danziger, 1982).

 

 

La tattica del silenzio

Ogni individuo deve affrontare situazioni di difficoltà. A scuola, in ufficio, in altri ambienti, si devono sostenere domande cui si chiede di rispondere velocemente. Il fattore tempo diventa perciò cruciale, esso crea agitazione.

L’esaminatore/l’intervistatore vuole una risposta immediata, perciò incalza l’esaminato/l’intervistato. Quest’ultimo rischia di rispondere senza pensare. La tattica del silenzio consiste nel prendere il tempo giusto per raccogliere mentalmente le informazioni giuste. E’ un silenzio impegnato, attivo, che a sua volta può mettere in imbarazzo chi ha fatto le domande. La pausa di silenzio crea un apparente interruzione comunicativa che in realtà è essa stessa comunicazione.

Il silenzio diventa espediente tattico, è un azione prudente messa in campo per rispondere a una situazione potenzialmente pericolosa. In questa prospettiva il silenzio si eleva a risorsa, a bene tutt’altro che voluttuario.

 

 

L’ascoltatore silenzioso

Molte persone amano parlare, preferiscono più parlare che ascoltare. Quando trovano un buon ascoltatore si realizza il momento perfetto. L’ascoltatore resta in silenzio, rispetta le parole altrui anche quando diventano un fiume in piena. Quindi talvolta l’ascoltatore rimane in ostaggio dell’oratore (compulsivo, egoista) per lunghi minuti. Spesso l’oratore dimostra di essere più attento a sé stesso che all’interlocutore, il quale si avvale del silenzio per vari motivi.

Non è possibile leggere il pensiero di chi abbiamo davanti, ma è possibile verificare se egli ci ascolta oppure se divaga con la propria mente. L’oratore dovrebbe includere l’ascoltatore nella comunicazione, rendendolo partecipe ad esempio chiedendo il suo parere. Presto o tardi, l’oratore terminerà l’elenco dei propri argomenti, con essi terminerà anche la comunicazione. L’ascoltatore è rimasto in silenzio lasciando “sfogare” l’oratore, probabilmente ha utilizzato il tempo per ricomporre i propri pensieri. L’ascoltatore saluta e si allontana, mentre l’oratore cerca nei paraggi una nuova preda ascoltatrice della sua comunicazione egocentrica.

L’ascoltatore si avvale del silenzio per non fomentare il noioso chiacchierone, il quale altrimenti otterrebbe nuovi spunti per allungare il suo monologo.

Il silenzio dell’ascoltatore serve inoltre per non esporsi personalmente con commenti azzardati; è utile a non prendere posizione su argomenti scottanti come la politica; serve a non manifestare il proprio vero pensiero. Pertanto rimaniamo ascoltatori silenziosi non solo per biasimare, ma anche per non offendere l’oratore con le nostre diverse opinioni, infine per non comprometterci.

 

 

Ridurre al silenzio

Far tacere una persona può essere interpretato come atto di difesa verbale, ma in contesti precisi è un atto che manifesta il potere. Un esempio forse troppo banale descrive il dirigente d’azienda che zittisce i suoi “collaboratori”, per confermare il suo ruolo di prestigio. Durante il briefing con gli agenti commerciali, il dirigente chiede conto degli obiettivi di vendita da raggiungere; davanti a risultati insoddisfacenti e alle varie giustificazioni il dirigente sbotta e ammutolisce i lavoratori “inadempienti”.

 

 

Avvalersi del silenzio
Lavoratore zittito dal dirigente

 

 

Altro caso riguarda il mondo militare, nel quale si esperiscono casi di vera manifestazione di potere: i soldati sono costretti al silenzio dal sottufficiale e dall’ufficiale più alti in grado, anche di fronte a palesi incongruenze di comportamento.

Il monarca riduce al silenzio i suoi sudditi e i suoi valletti, il rigido protocollo di corte impone a chiunque di ossequiare il re e la sua famiglia e di non parlare senza essere interpellato.

 

 

Manifestazione di rispetto

Durante la celebrazione delle esequie i partecipanti stanno in silenzio, per manifestare il proprio rispetto per lo scomparso. Alla stessa maniera, gli studenti tacciono mentre parla l’insegnante. Si sta in rispettoso silenzio davanti a un maestro di discipline marziali. Davanti al giudice si parla solo se interpellati, restare in silenzio è doveroso.

 

 

Chiedere attenzione

Si presentano quotidianamente le occasioni che richiedono attenzione. Un esempio emblematico è la conferenza, situazione in cui una o più persone sono chiamate a parlare a un pubblico. Quest’ultimo è un insieme di gruppi di persone, tra loro non sono sempre organizzati, lasciati in libertà producono chiacchiericcio e rumore di fondo. Per permettere ai conferenzieri di parlare serve il silenzio della platea. Lo stesso procedimento è necessario nel cinema quando inizia la proiezione. I musicisti non iniziano a suonare se a teatro o nell’arena non c’è silenzio. A scuola e all’università, l’insegnante non può fare lezione se manca il silenzio.

Il silenzio si invoca attirando l’attenzione dei presenti, poi per ottenere l’attenzione il pratico conferenziere attiva pause di silenzio. E’ in effetti un meccanismo duale.

Al termine osserviamo una pausa di silenzio che chiude il cosiddetto evento. All’inizio e alla fine, il silenzio è protagonista della comunicazione importante.

 

 

Colui che teme il silenzio

Tra le fobie umane rientra il silenzio. Anche nelle situazioni più serie e col protocollo più rigido, emergono le chiacchiere di qualche individuo. Di fronte alla richiesta di silenzio o davanti alla sua contingenza non tutte le persone rispondono a dovere.

In una qualunque sala d’attesa piena di estranei, a un tratto il silenzio è rotto dalle parole ad alto volume di due sconosciuti. Seduti in treno, chi legge, chi giocherella con lo smartphone, chi pensa ai fatti suoi, c’è chi si annoia e non riesce a sostenere il silenzio altrui perciò cerca di attaccare discorso. In biblioteca gli studenti sono assorti sui libri, un paio di individui iniziano a scambiare commenti, dopo qualche minuto qualcuno chiede loro di non disturbare.

Può essere avvertita come semplice maleducazione, ma spesso si tratta di paura di rimanere in silenzio in mezzo alla gente.

Il riflesso condizionato porta costoro a tentare di parlare con chiunque, di qualsiasi argomento: fare discorsi di poco valore, parlare del tempo, di una notizia ampiamente discussa oppure del cane del vicino di casa.

Rimanere in silenzio crea imbarazzo in loro, talvolta è una paura ingiustificata, spesso si traduce in ansia. La persona che teme il silenzio cerca la fuga dai propri pensieri, prova a scappare dalla incipiente solitudine, si aggrappa quindi alla comunicazione compulsiva.

 
 

 

Indicazioni bibliografiche

P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, Roma, 1971

K. Danziger, “La comunicazione interpersonale”, Zanichelli, Bologna, 1982

E. Goffman, “Forme del parlare”, Il Mulino, Bologna, 1987

F. Nanetti, “La comunicazione trascurata”, Armando Editore, Roma, 1996

M. Mizzau, “E tu allora?”, Il Mulino, Bologna, 2002

V. Cesari Lussu, “Dinamiche e ostacoli della comunicazione interpersonale”, Erickson, Trento, 2005

B. Berckhan, “Piccolo manuale di autodifesa verbale”, Feltrinelli, Milano, 2014

S. Briatore, “Come usare le parole giuste”, Newton Compton, Roma, 2020
 

 

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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