Cosmopolitismo e stranieri
La società globale dell’accoglienza e della tolleranza totale
Esempi di straniero contemporaneo
Il nocciolo duro
Il rapporto con gli stranieri rappresenta il centro dell’ideologia cosmopolita, verso la globalizzazione (“transnazionalizzazione”) delle relazioni sociali ed economiche (U. Beck, “La società cosmopolita”, Il Mulino, Bologna, 2003, pag. 30-34).
A ben vedere tuttavia, esiste un secondo fronte di pensiero che considera il Cosmopolitismo la base ideologica di un nuovo ordine mondiale (ipotetico oppure già creato). Questo secondo fronte parla della prospettiva di un governo ovviamente mondiale, meglio definito globale, che porti l’attenzione di filosofi ed élite al diritto internazionale vincolante per tutti i Paesi.
Riprende il principio cardine della cittadinanza globale in quanto appartenenza alla razza umana (D. Archibugi, R. Falk, D. Held, M. Kaldor, “Cosmopolis”, Manifesto Libri, Roma, 1993; D. Zolo, “Cosmopolis”, Feltrinelli, Milano, 1995; S. Benhabib, “Cittadini globali”, Il Mulino, Bologna, 2008; L. Tundo Ferente, a cura di, “Cosmopolitismo contemporaneo”, Morlacchi, Perugia, 2009).
Nel presente contributo, ci focalizzeremo invece sul primo tema, soffermandoci sul sostegno incondizionato fornito agli stranieri dall’ideologia cosmopolita.
Mai più differenze
Il Cosmopolitismo ha dichiarato una guerra di parole alla cittadinanza nazionale e alle frontiere statali. Sguinzaglia i suoi adepti contro ogni manifestazione di differenza, nello specifico tra i nativi e i non nativi. La cittadinanza globale è un progetto al quale giungere, è una ispirazione morale alla quale tendere.
La società aperta, auspicata dal filosofo Popper, si pone come antidoto alla tirannide e al totalitarismo. L’allarme sociale creato dalla paura della società chiusa, presente anche al tempo dei classici pensatori greci, vuole mettere in guardia gli uomini contemporanei di fronte ai rischi che potrebbero correre mediante scelte sbagliate.
Seguire le differenze è una delle scelte sbagliate secondo i cosmopoliti. Sostenere la propria comunità d’origine è un’altra scelta sbagliata.
Il diritto all’ospitalità
Considerare lo straniero secondo il diritto rappresenta l’origine del pensiero cosmopolita moderno, inaugurato da Kant. Il testo basilare di tale riflessione porta il titolo di “Trattato per la pace perpetua”, pubblicato nel 1795 dall’eminente filosofo tedesco.
Si tratta del punto di partenza di quello che è unanimemente riconosciuto come il diritto cosmopolitico, introdurrebbe per gli Stati l’obbligo di riconoscere a ogni essere umano il diritto di visita in un qualsiasi altro Paese. Ogni essere umano non deve (né può) essere trattato con ostilità, bensì beneficiare di una congrua accoglienza (A. Taraborrelli, “Il cosmopolitismo contemporaneo”, Laterza, Roma-Bari, 2011, pag. VII).
La cittadinanza cosmopolitica deve diventare il fulcro del sistema giuridico, nel senso di ospitalità universale (Ibidem, pag. 80).
Kant sottolinea che la sua proposta non è inerente alla filantropia, ma si tratta di diritto, sono norme giuridiche che vincolerebbero le relazioni civili tra gli individui (S. Benhabib, “Cittadini globali”, Il Mulino, Bologna, 2008, pag. 25-26).
“L’ospitalità è un diritto che spetta a tutti gli esseri umani in quanto potenziali appartenenti a una repubblica mondiale. (…) Secondo Kant, il diritto di ospitalità implica per lo straniero che viene nel nostro paese un titolo per risiedere temporaneamente. Questo non può essere rifiutato, qualora un simile rifiuto comporti la distruzione dello straniero. Rifiutare il soggiorno alle vittime di guerra di religione, alle vittime di pirateria o naufragio, qualora un simile rifiuto porti alla loro fine, è inaccettabile” (Ibidem, pag. 27).
Ospite o incomodo
Il diritto di ospitalità è un approdo molto importante per i filosofi che sponsorizzano il Cosmopolitismo. E’ necessario riconoscere lo straniero in qualche maniera, è altresì necessario creare un rapporto di relazioni e giuridico che consenta di giustificare la presenza dello straniero sul suolo nazionale.
Lo straniero è stato “travestito” da ospite.
Antropologicamente, l’ospite è un immagine sacra associata alla protezione del viaggiatore, del viandante, del pellegrino. Come ha scritto il poeta e saggista Hans Magnus Enzensberger “L’ospite è sacro, ma non può rimanere” (H. M. Enzensberger, “La grande migrazione”, Einaudi, Torino, 1993, pag. 7).
Infatti, rispetto all’ospite si cerca di capire se è in buona fede oppure se è in verità un militante, uno scroccone, un opportunista. L’arrivo e la concentrazione di molti ospiti crea disagio ai nativi (C. Caldwell, “L’ultima rivoluzione dell’Europa”, Garzanti, Milano, 2009, pag. 84).
Obbligo e facoltà
L’obbligo di concedere ospitalità allo straniero, chiunque esso sia, non può essere imposto per legge al Governo di un Paese. Rimane una scelta, una facoltà riconosciuta nel singolo ordinamento giuridico nazionale (S. Benhabib, “Cittadini globali”, Il Mulino, Bologna, 2008, pag. 29).
La Dichiarazione universale dei diritti umani (Parigi, 1948) riconosce a chiunque il diritto alla libertà di movimento e di residenza in ogni Stato, nonché il diritto a lasciare il proprio Paese e a farvi ritorno (art. 13). Seyla Benhabib fa notare che non esistono norme specifiche che obblighino gli Stati a garantire l’ingresso degli immigrati, non si parla di diritto a immigrare, vale a dire di entrare in un qualsiasi Paese a proprio piacimento (Ibidem, pag. 43).
Nell’articolo 14 della suddetta Dichiarazione universale, è riconosciuta la facoltà di cercare asilo dalle persecuzioni in un altro Stato diverso dal proprio; non aggiungendo altro, si evince che il diritto di asilo sia disciplinato dalle norme giuridiche specifiche in vigore nei diversi Stati.
Soluzioni cosmopolite
I sostenitori del Cosmopolitismo si confrontano da sempre per trovare una soluzione a questo problema. La sovranità è del Popolo, è esercitata dagli organi dello Stato (politico e legislativo) i quali rispondono alla legge.
E’ possibile introdurre il diritto cosmopolitico dell’ospitalità (accoglienza illimitata) dall’interno, grazie al legislatore (simpatizzante del Cosmopolitismo), oppure dall’esterno, grazie all’imposizione legislativa esercitata da organizzazioni sovranazionali (Unione Europea? ONU? UNHCR?).
“… le norme cosmopolitiche vanno al di là della sovranità nazionale liberale, prefigurando lo spazio giuridico e concettuale per un ambito di relazioni fondate su diritti che possa essere vincolante per attori tanto non statali quanto statali, qualora questi vengano in contatto con individui che non sono membri della loro comunità” (Ibidem, pag. 31).
Di quale straniero parliamo
Il filosofo Kant ha concepito il diritto di ospitalità per tutti gli stranieri, considerando quel “tutti” in relazione al contesto storico in cui egli ha vissuto: il diciottesimo secolo delle guerre europee, che hanno creato un periodo di instabilità culminato con la Rivoluzione Francese (1789). Pertanto è comprensibile la preoccupazione di Kant per l’accoglienza dei profughi europei, sulla strada dell’illuminismo delle élite (R. Ago, V. Vidotto, “Storia moderna”, Laterza, Roma-Bari, 2004, pag. 234).
Spostando l’osservazione e l’interpretazione dello straniero al nostra tempo (terzo millennio), cambia il profilo dello stesso straniero e cambia la sua identità sociale. Non abbiamo più davanti i profughi europei.
Negli scritti dei filosofi contemporanei che abbiamo considerato, il ritratto dello straniero non è mai riconducibile all’individuo desiderabile, per esempio lo studente, l’accademico, il turista o l’uomo d’affari americano, svizzero, finlandese, britannico, o magari cinese.
Quando gli eruditi filosofi contemporanei, dalla Harendt a Popper ad Habermas – fino agli altri sconosciuti al grande pubblico – sostengono a favore degli stranieri il diritto d’asilo, di rifugio, richiamano l’accoglienza di fronte a situazioni attualmente assenti nello scacchiere occidentale: guerre e persecuzioni.
Pertanto, i filosofi cosmopoliti invocano l’accoglienza per tutti coloro che vogliono andarsene dal vecchio Terzo Mondo. I destinatari dell’accoglienza, senza condizioni, sono tutti gli abitanti dei Paesi ex colonie, gli extra comunitari.
Cosa dobbiamo agli stranieri in virtù della nostra comune umanità?
(A. Taraborrelli, “Il cosmopolitismo contemporaneo”, Laterza, Roma-Bari, 2011, pag. 52)
Il filosofo cosmopolita Appiah propone a tutti di riconoscere la propria responsabilità “umana” di fronte a qualunque straniero. Egli ammonisce che esistano dei doveri verso gli stranieri, di compassione, di aiuto, di sostegno in situazioni di indigenza e pericolo (K. A. Appiah, “Cosmopolitismo”, Laterza, Roma-Bari, 2007, pag. XI, 100, 162).
“Se accettiamo la sfida cosmopolita, dobbiamo dire chiaramente ai nostri rappresentanti che vogliamo si ricordino di quegli estranei, e non perché siamo impietositi dalla loro sofferenza ma perché rispondiamo a ciò che Adam Smith definiva ‘la ragione, il principio, la coscienza, il cuore’. I cittadini dei paesi più ricchi possono fare di meglio. E’ solo una questione di etica, che verrà avvertita maggiormente se saremo capaci di rendere la nostra società più cosmopolita” (Ibidem, pag. 177).
Culture a confronto
Accogliere persone provenienti da ogni angolo remoto del Globo, significa mettere a confronto culture molto diverse tra di loro, dando per scontato che abbiano sistemi di valori usi e costumi compatibili.
I sostenitori del Cosmopolitismo sono sicuri che i diritti umani, come li conosciamo radicati in secoli di storia dell’Occidente, possano essere accettati e condivisi facilmente da ogni immigrato, permeato da una cultura differente.
Questo si chiama etnocentrismo: osservare la cultura altrui interpretandola mediante i criteri della propria. In questo modo, la cultura altrui sarà male compresa, i risultati sociali saranno inaspettati, non positivi.
Non esiste una gerarchia delle culture umane, non si possono classificare le culture dicendo che alcune sono più in alto di altre. Invece, è condivisibile il fatto che ogni cultura abbia un sistema di valori, di usi e costumi specifici, che potrebbero entrare in conflitto con quelli di altre culture. Il confronto può portare o non portare alla convivenza civile.
Il rapporto straniero/nativo rimanda alla questione culturale, nonostante la globalizzazione economica e dell’informazione vadano in altra direzione. La straordinaria varietà culturale presente sul pianeta Terra crea seri ostacoli all’affermazione del Cosmopolitismo (T. Paquot, “Cosmopolitismo e urbanizzazione planetaria”, in P. A. Taguieff, “Cosmopolitismo e nuovi razzismi”, Mimesis, Milano, 2003, pag. 37).
Accogliere lo straniero è un fatto meramente morale?
Kant immaginava l’affermarsi di un diritto dell’accoglienza a favore di ogni straniero, cosicché da terminare ogni violenza tra gli Stati, affinché si affermasse una pace condivisa (Ibidem, pag. 31).
La cittadinanza globale cosmopolita è un obiettivo di carattere morale, molto meno raggiungibile in base ai criteri giuridici attuali, ma soprattutto per motivi di complessità culturale.
Considerando che i pensatori cosmopoliti non sono riusciti a imporre per legge l’accoglienza globale dello straniero, sono passati alla morale: l’obbligo morale dell’accoglienza (S. Benhabib, “Cittadini globali”, Il Mulino, Bologna, 2008, pag. 28-29).
Antirazzismo istituzionale
Inoltre, gli esponenti del Cosmopolitismo si sono dati da fare per istituzionalizzare l’antirazzismo come ombra della loro stessa dottrina filosofica (P. A. Taguieff, “Cosmopolitismo e nuovi razzismi”, Mimesis, Milano, 2003, pag. 14-15).
Chiunque si dichiari contro lo straniero, con argomentazioni plausibili o tout court, diventa automaticamente reo di razzismo, senza contenzioso, senza appello. L’ideologia della tolleranza ha gradualmente allargato il proprio campo d’azione.
“Le categorie di persone che avevano diritto ad essere protette dall’intolleranza aumentarono, e il concetto di violazione del principio di tolleranza assunse un carattere arbitrario e ad hoc”. In pratica, il razzismo diventa qualsiasi cosa una persona qualunque lo giudichi tale, arbitrariamente.
Nel tempo, l’ideologia della tolleranza (promossa dal Cosmopolitismo, è bene ricordarlo) si è inasprita.
“Sviluppò veri poteri coercitivi, in parte perché si tradusse in legge, in parte perché alcune entità non governative se ne fecero autonomamente promotrici. Qualsiasi affronto all’ideologia della tolleranza esponeva non più soltanto alle critiche e all’ostracismo sociale, bensì anche al rischio di essere denunciati o licenziati” (C. Caldwell, “L’ultima rivoluzione dell’Europa”, Garzanti, Milano, 2009, pag. 102).
Riguardo alle sanzioni morali e giuridiche a favore dell’antirazzismo arbitrario, rimandiamo alla lettura dei nostri contributi:
L’arte del politicamente corretto
La parola negro nella comunicazione contemporanea
Cittadini di serie B
Mediante il suo continuo sostegno alla causa dello straniero, il Cosmopolitismo crea cittadini di serie A e di serie B: al livello più basso si posizionano i nativi. I sostenitori dell’antirazzismo possono trovare facile margine per un attacco diretto ai nativi, che non accettano il declassamento, che dissentono dall’accoglienza imposta.
La percezione dei nativi è reale, la verità oggettiva è la continua quotidiana campagna di comunicazione a favore dello straniero e della società aperta (Ibidem, pag. 112, 115, 118-119).
Il Cosmopolitismo ama l’alterità
Sostenere, difendere, tutelare lo straniero significa amare l’alterità, la globalizzazione delle relazioni sociali. Nella concezione globalista, significa però anche abbandonare la comunità, seccare il radicamento al proprio territorio, ignorare le proprie origini.
Il Cosmopolitismo è esterofilo, è etnocentrico. Spinge il pensiero a considerare il mondo una patria comune, appiattendo le differenze culturali su di un unico pensiero universale, globale e globalista.
Si serve dell’antirazzismo come arma per ridurre al silenzio chiunque manifesti un pensiero diverso dal suo, ne sono esempio gli intolleranti democratici sparsi ovunque.
Individualismo / solidarietà
Il mondo contemporaneo è individualista, generalizzato, omologato sulle posizioni dei consumi. Le persone perdono i contatti di vicinato e di quartiere per favorire i contatti virtuali. A maggior ragione, l’assistenza agli emarginati e ai poveri non deve mancare, purtroppo però non è scontata per vari motivi sociali e personali.
L’ospitalità è sicuramente un atto nobile e doveroso, che tuttavia non deve diventare lesivo per chi è chiamato a ospitare, né per i nativi bisognosi. Troppi stranieri possono creare difficoltà e disagi nella comunità che li ospita, non si tratta di razzismo.
Il Cosmopolitismo ci chiama ad accogliere tutti gli stranieri, senza distinguere poi se essi siano onestamente in difficoltà, oppure degli emeriti opportunisti.
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