Eclissi della identità

crisi di identità

Se l’Europa e l’Occidente rinnegano la propria identità collettiva e comunitaria

 

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Eclissi della identità

 

Il significato del NOI, dell’appartenenza, della cittadinanza

E’ perché la cittadinanza presuppone l’appartenenza che la nazionalità è diventata così importante nel mondo moderno. (…) Solo dove le persone hanno un senso forte di cosa sia un ‘noi’, del perché ‘noi’ agiamo collettivamente in questo o quell’altro modo, o del perché ‘noi’ ci siamo comportati correttamente riguardo a questo o in modo sbagliato riguardo a quello, esse saranno così coinvolte nelle decisioni collettive tanto da adottarle come qualcosa di proprio. Questa prima persona plurale è la precondizione delle politiche democratiche e deve essere salvaguardata a ogni costo poiché, credo, il prezzo che si pagherebbe, perdendola, è la disgregazione sociale.

La nazionalità non è il solo tipo di appartenenza sociale e non è nemmeno un legame esclusivo. Tuttavia, è l’unica forma di appartenenza che finora si è dimostrata capace di sostenere un processo democratico e un sistema di leggi liberali” (R. Scruton, “Il bisogno di Nazione”, Le Lettere, Firenze, 2012, pag. 30-31).

 

La democrazia e l’idea di Nazione

Le democrazie devono la loro esistenza alla fedeltà nazionale, fedeltà che si suppone venga condivisa da governo e opposizione, da tutti i partiti politici e dall’elettorato nella sua interezza, Dovunque l’esperienza di nazionalità sia debole o inesistente, la democrazia ha mancato di attecchire. (…) L’idea di nazione è ormai dovunque sotto attacco, o denigrata come forma atavica di unità sociale, o addirittura condannata come causa di guerre e conflitti, a essere demolita e sostituita da forme di giurisdizione più illuminate e universali” (Ibidem, pag. 15).

 

La democrazia difende il diritto delle persone

La democrazia moderna stabilisce che abbiamo tutti, quale che sia il nostro luogo di nascita, un eguale diritto alla libertà” (A. Finkielkraut, “L’identità infelice”, Guanda, Milano, 2015, pag. 68).

In Europa e in generale in Occidente, “Lo Stato non si limita a difendere i principi di fratellanza, laicità e uguaglianza che peraltro i paladini dell’autorizzazione gli avevano rivolto contro. Difende un modo di essere, uno stile di vita, un tipo di socievolezza: insomma, azzardiamo la parola, un’identità comune” (Ibidem, pag. 69-70).

 

L’identità nazionale

E’ con il romanticismo che il tema dell’identità nazionale appare per la prima volta sulla scena europea” (Ibidem, pag. 71).

La generalizzazione del sentimento di somiglianza ha creato l’identità nazionale, che quindi è figlia dell’uguaglianza. Il diritto alla libertà era esteso a tutti, era valido per tutti (erga omnes) senza distinzioni, aveva la sua base di esercizio nella ragione, nell’intelletto (Ibidem, pag. 72).

Le identità collettive e le relative culture irrompono nel panorama sociale umano, le persone si ritrovano volentieri nei concetti di famiglia, razza e nazione, oggi così tanto detestati. Il passo successivo è il senso di appartenenza, che crea l’identità collettiva.

 

Frenesia identitaria e repulsione

Nel corso della storia, qualcosa è andato storto, in particolare quando all’identità collettiva è stato associato il termine “razza” in senso spregiativo.

Persecuzioni e stermini, come quello degli ebrei, hanno portato la riflessione agli estremi opposti, hanno creato una morale radicale che assume come manifesto “mai più Auschwitz” (Ibidem, pag. 79-80).

Proprio la vergogna per i fatti della Shoah, ha contribuito a generare il filone del pensiero multiculturalista/cosmopolita. Il seguace del multiculturalismo disprezza il significato del “NOI”, perché gli ricorda i totalitarismi del XX secolo.

I paladini del politicamente corretto denunciano ogni affermazione che riguardi la razza, il colore della pelle, le minoranze etniche, religiose, sociali. Ma senza fare nulla di concreto per tutelarle.

L’identità europea entra in crisi.

 

Il cosmopolitismo è un agente contro l’identità collettiva

Alla domanda: <<Da che cosa è costituito il carattere europeo dell’Europa?>>, il sociologo tedesco Ulrich Beck risponde oggi: dal cosmopolitismo. Detto altrimenti, il proprio dell’Europa è non avere un proprio” (Ibidem, pag. 80).

Eliminare la distinzione tra nativi e non nativi è l’obiettivo del cosmopolitismo (C. Baraldi, “Il concetto di gruppo sociale”, in C. Baraldi e G. Piazzi, “Costruzioni sociali del gruppo”, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 28; A. Taraborrelli, “Il cosmopolitismo contemporaneo”, Laterza, Roma-Bari, 2011).

Il cosmopolita è il guardiano contro la discriminazione, di qualunque segno essa sia. L’Europa, criticata dal cosmopolitismo e messa sotto accusa per i genocidi, è obbligata alla tolleranza totale, all’accoglienza totale, a rinnegare la propria appartenenza, perciò deve rinnegare anche la propria identità.

Essere cittadino del mondo apre presunti orizzonti di riflessione pressoché infiniti in ognuno che decide di aderirvi. E’ parte dell’attuale orientamento multiculturalista e terzomondista, teso a eliminare ogni confine di stato e ogni legislazione nazionale in tema di cittadinanza.

Dichiararsi cittadino del mondo (cosmopolita a tutti gli effetti) rimanda al rifiuto dei diritti (e dei doveri) di cittadinanza e di nazionalità, così come sono definiti (A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, “Corso di sociologia”, Il Mulino, Bologna, 1997, pag. 591).

L’identità europea perde di interesse di fronte all’esterofilia sostenuta dal cosmopolitismo.

 

L’Europa non è un club

L’Europa non è un club cristiano, ma nemmeno un club scristianizzato. “Semplicemente, non è un club. Né una comunità d’ascendenza. E nemmeno un’identità post-nazionale. E’ l’ingresso degli europei nell’epoca post-identitaria. L’Europa ha scelto di disamorarsi di sé, di lasciare sé stessa, per uscire, una volta per tutte, dal solco della sua storia sanguinosa. (…) Non costruire più una collettività sulla rimozione e la persecuzione di un altro. Ponti e non simboli nazionali” (A. Finkielkraut, “L’identità infelice”, Guanda, Milano, 2015, pag. 82-83).

Gli agenti cosmopoliti contro l’identità nazionale smembrano pezzo per pezzo l’intera storia europea.

 

Rinnegare, sconfessare

L’Europa gradualmente abbandona e rinnega (sconfessa) la propria secolare identità collettiva, a favore di ciò che le è estraneo.

Per l’Europa non si tratta più di convertire chicchessia, ma di riconoscere l’altro attraverso l’ammissione dei torti compiuti nei suoi confronti. L’Europa è tenuta, più in generale ad accogliere ciò che essa non è, cessando d’identificarsi con ciò che essa è. L’Europa deve denazionalizzarsi” (Ibidem, pag. 86).

In particolare, in Paesi avanzati come la Francia, il dibattito si infervora sulla lacerazione dell’identità nazionale, a favore di una nazione meticcia decisamente simpatizzante verso l’immigrazione di popolamento (Ibidem, pag. 88-89). E’ lo scenario dell’eclissi della identità, che ormai si dipinge velocemente su tutti i territori europei.

Il filosofo britannico Scruton parla di “oicofobici”, individui conformisti e politicamente corretti che si scagliano contro la propria casa natale odiandola (R. Scruton, “Manifesto dei conservatori”, R. Cortina Editore, Milano, 2007, pag. 31). Non si tratta di detrattori stranieri bensì degli stessi cittadini (multiculturalisti) che si vogliono sbarazzare della storia nazionale (A. Finkielkraut, “L’identità infelice”, Guanda, Milano, 2015, 87-89).

La riflessione parte dalla constatazione che la società europea e occidentale sta perdendo la sua omogeneità, cambia la sua composizione. Davanti al mutamento sociale, la società europea non propende per la salvaguardia di sé, non difende la propria storia, la propria identità. Piuttosto, essa sconfessa la propria essenza accogliendo in sé e per sé ciò che le è sempre stato estraneo, ciò che non le appartiene.

 

Identità e immigrazione

Così oggi, in un’Europa che non ha più i mezzi per controllare i flussi migratori ed è diventata, sotto l’effetto simultaneo del ricongiungimento famigliare, del continuo aumento dei richiedenti asilo e della corsa all’ingresso clandestino, <<un continente d’immigrazione suo malgrado>>, la Francia è cambiata, la vita è cambiata, il cambiamento stesso è cambiato. (…) Il cambiamento non è più qualcosa che facciamo, o qualcosa a cui aspiriamo, ma qualcosa che ci accade, (…) attraverso questo processo irresistibile di ricomposizione e ripopolamento del mondo, è la crisi dell’integrazione” (A. Finkielkraut, “L’identità infelice”, Guanda, Milano, 2015, pag. 17).

Gli immigrati non possono sostituire in tutto e per tutto gli autoctoni, poiché non sono portatori degli stessi valori, della stessa cultura, degli stessi usi e costumi, della stessa storia: in sostanza manifestano una diversa identità (Ibidem, pag. 18). Si tratta di uno degli agenti che operano per l’eclissi della identità nazionale ed europea.

 

Eclissi della identità europea e incipiente islamizzazione

Il problema dell’identità culturale in Europa rimanda alla possibile islamizzazione, un problema sociale spesso derubricato al termine politicamente corretto di “islamofobia”.

Da più parti si identifica l’attuale immigrazione di massa come per la maggioranza di matrice islamica (G. Meotti, “La fine dell’Europa”, Cantagalli, Siena, 2016, pag. 7).

L’immigrazione di massa non tende al rinnovo demografico, piuttosto porta inevitabilmente alla sostituzione della popolazione autoctona con etnie estranee al panorama culturale di riferimento.

Il Pew Research Center di Washington (USA) ha previsto che entro il 2050 la popolazione di religione islamica aumenterà nel mondo del 73%, superando i fedeli cristiani.

Già da tempo, a Bruxelles, la capitale dell’Europa unita, i primi sette nomi dei nuovi nati per maggior numero sono arabi (G. Meotti, “La fine dell’Europa”, Cantagalli, Siena, 2016, pag. 67).

Islam e demografia in Europa

Islam e demografia in Europa, parte II

La nuova colonizzazione

Il rischio/pericolo islamico

 

 

Sgretolamento delle tradizioni cristiane

Le tradizionali pratiche religiose in Europa sono in forte contrazione, a privilegio delle nuove forme di fruizione tipiche del consumismo tecnologico. Sempre meno persone si impegnano nelle comunità cristiane, si allontanano dalle attività parrocchiali. Una serie di termini che posseggono il finale in “ismo” descrivono la situazione della sfera religiosa in Europa (Italia compresa): egoismo, edonismo, individualismo.

La secolarizzazione partecipa attivamente all’opera di sgretolamento dell’identità tradizionale, che per secoli ha coinciso con le radici cristiane.

Le feste cristiane, come il Natale e la Pasqua, sono trasformate dai multiculturalisti in occasioni laiche di aggregazione scristianizzata (A. Finkielkraut, “L’identità infelice”, Guanda, Milano, 2015, pag. 87).

Allo stesso tempo in giro per l’Europa, vengono concesse all’uso (e all’abuso) dei musulmani le chiese in disuso; altrimenti sono sconsacrate e cedute a privati per gli usi più disparati (G. Meotti, “La fine dell’Europa”, Cantagalli, Siena, 2016, pag. 91 e seg.).

La chiesa cristiana e cattolica era, fino a qualche anno fa, simbolo di aggregazione sociale e di appartenenza, attualmente percorre una pericolosa deriva di emarginazione sociale.

Al contempo, le comunità islamiche si allargano, aumentano la propria presenza nei vari tessuti urbani, soprattutto metropolitani. “L’Islam è una religione la cui potenza è in crescita” (M. Onfray, “Pensare l’Islam”, Ponte alle Grazie, Milano, 2016, pag. 55).

L’Europa cancella il cristianesimo

 

Il dibattito sull’alterità

Il nocciolo del ragionamento (e della discussione mediatica) non è sul colore della pelle, che è un argomento politicamente scorretto, fuorviante e senza apparente fondamento, bensì sulla cultura: vale a dire la sostanza fondamentale dell’appartenenza.

Il dibattito sulla cultura diventa discussione sull’alterità, lo straniero è l’argomento di questi tempi.

Lo straniero può essere fedele alla repubblica? Sarà in grado di sentire l’appartenenza all’identità nazionale? Riconoscerà la democrazia quale sistema di rappresentazione e di governo? Si conformerà alla convivenza civile per come la intendiamo?

Ecco la contraddizione: se i multiculturalisti hanno messo al bando l’appartenenza alla comunità nazionale e ne vogliono dissolvere la cultura, come sarà possibile creare appartenenza sociale negli immigrati africani e mediorientali?

Se non c’è appartenenza non c’è integrazione.

Rifiutare il proprio passato e quindi la propria identità, come desiderano i cosmopoliti e i multiculturalisti, rende vulnerabili le persone e la loro capacità aggregativa. Considerando che NOI siamo l’altro dell’ALTRO (lo straniero), è auspicabile che si trovi presto un equilibrio di rispetto reciproco e non solo a senso unico, ossia esterofilo (A. Finkielkraut, “L’identità infelice”, Guanda, Milano, 2015, pag. 110-111).

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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