La città ha perso, ha perso la città.
Leggere dell’accostamento tra la sociologia urbana e una canzone d’autore, forse, potrebbe creare dei malumori in studiosi accademici, peccato per loro.
Abbiamo notato delle assonanze forti tra l’osservazione della città e la canzone di Niccolò Fabi “Ha perso la città”.
La città è sensibilmente cambiata negli ultimi anni, si è trasformata seguendo un urbanesimo sfrenato, sta diventando sempre di più un luogo impersonale, di grande passaggio e caotico.
I “non luoghi” del commercio e della grande viabilità (stazioni e aeroporti) si sono allargati, a scapito dei quartieri a misura di residente.
Le persone sono sempre meno radicate al territorio, sempre più fruitrici di servizi al volo, sempre di corsa.
Gli studenti fuori sede fruiscono della città senza agire come i residenti, che se ne fanno carico accudendola ed esercitando il controllo sociale come anni fa.
Imperano le nuove tecnologie, con davanti a tutto gli “smartphone”, che livellano le coscienze all’individualismo, alla perdita di relazioni genuinamente concrete.
I quartieri periferici diventano dei dormitori, silenziosi di giorno e di notte.
Si allargano gli esercizi commerciali di stranieri, che simboleggiano la diversità rispetto al contesto metropolitano tradizionale: nella maggioranza dei casi parlano a fatica l’italiano, rimangono nelle loro “enclave etniche”, rimangono aggrappati alla loro cultura tradizionale.
Le nuove immigrazioni di massa aumentano il numero degli aspiranti lavoratori dequalificati, in un mercato del lavoro solo mediaticamente in ripresa. Di fatto, è prostrato da anni di crisi economica e di malaffare.
Le attività artigianali classiche stanno andando all’esaurimento, per raggiunta età pensionabile e per mancanza di ricambio generazionale.
La microcriminalità avanza senza incontrare seri ostacoli, così come la tragica mancanza di rispetto per le donne e per gli anziani, sempre più vittime di truffe e violenze private.
Dove la crisi economica non ha desertificato ampie zone, come i centri urbani, ci ha pensato la politica locale con scelte scellerate e impopolari, dettate dal profitto e da interessi clientelari a beneficio di pochi eletti.
Ha perso la città
Hanno perso i cittadini, i residenti; si sono persi i legami di vicinato, di quartiere. Molte persone hanno perso il lavoro, ma non la dignità e l’onestà.
La nostra città è tutto questo, innegabilmente osservabile con occhi attenti e scevri da ideologia politica.
“Ha perso la città”, di Niccolò Fabi 2016
Hanno vinto le corsie preferenziali
Hanno vinto le metropolitane
Hanno vinto le rotonde e i ponti a quadrifoglio
Dalle uscite autostradali
Hanno vinto i parcheggi in doppia fila
Quelli multi-piano, vicino agli aeroporti
Le tangenziali alle otto di mattina e i centri commerciali
Nel fine settimana
Hanno vinto le corporazioni infiltrate nei consigli comunali
I loschi affari dei palazzinari
Gli alberi umani e le case popolari
E i bed & breakfast affittati agli studenti americani
Hanno vinto i superattici a tremila euro al mese
Le puttane lungo i viali, sulle strade consolari
Hanno vinto i pendolari
Ma ha perso la città, ha perso un sogno
Abbiamo perso il fiato per parlarci
Ha perso la città, ha perso la comunità
Abbiamo perso la voglia di aiutarci
Hanno vinto le catene dei negozi
Le insegne luminose sui tetti dei palazzi
Le luci lampeggianti dei semafori di notte
I bar che aprono alle sette
Hanno vinto i ristoranti giapponesi
Che poi sono cinesi anche se il cibo è giapponese
I locali modaioli, frequentati solamente da bellezze tutte uguali
Le montagne d’immondizia, gli orizzonti verticali
Le giornate a targhe alterne e le polveri sottili
Hanno vinto le filiali delle banche, hanno perso i calzolai
E ha perso la città, ha perso un sogno
Abbiamo perso il fiato per parlarci
Ha perso la città, ha perso la comunità
Abbiamo perso la voglia di aiutarci.