Fare le presentazioni, fare la conoscenza.
L’inevitabile
Conoscere altre persone è un fatto inevitabile nella società umana, tutto il resto è costituito da eccezioni e devianze. Fare la conoscenza è un istituto comunicativo intrinseco alla vita sociale (alla socialità). Chiunque può entrare in contatto con altri, in tutti gli ambienti in cui transita, per un tempo sufficiente ad intavolare un discorso.
Fare la conoscenza è una pratica che si apprende fin dall’infanzia. “L’opportunità che hanno i bambini di incontrare molti altri bambini e adulti in casa loro o in casa di altri e in gruppi di gioco, è preziosa, perché può sviluppare capacità nell’età pre-scolare, e le prime esperienze scolastiche possono essere anch’esse particolarmente importanti. I bambini i cui tentativi di comunicazione sono accolti con affetto e approvazione si sentiranno incoraggiati a ripeterli e a svilupparli” (J. E M. Collins, 1993).
Fare la conoscenza rientra quindi nel novero delle capacità sociali da apprendere prima possibile. Durante la vita lavorativa, le occasioni/gli obblighi del fare la conoscenza sono pressoché continui, per non parlare poi della frequentazione di luoghi sportivi, ricreativi, parrocchiali.
In teoria, non esistono età in cui ci si potrebbe astenere da quella pratica, persino gli anziani sono chiamati a fare nuove conoscenze, al parco con i nipoti, in ospedale, in centri diurni, in case protette.
Gli altri
Dare per scontato l’istituto del fare la conoscenza, significa implicitamente accettare “gli altri” come oggetti di tale istituto.
“Perché sia possibile la comunicazione, essenza della socialità, è necessaria l’esistenza degli altri e la consapevolezza di tale esistenza. La solitudine, se assoluta, esclude ogni socialità; se relativa esclude la sua realizzazione e la sua esistenza fino ai limiti della solitudine. L’incomunicabilità si può ammettere come coesistente alla socialità solo se la si considera un’impossibilità di attuare l’esistente esigenza naturale alla socialità. Tale impossibilità genererebbe l’angoscia” (G. Vidoni, 1975).
Fare la conoscenza rimanda direttamente alla socialità, ovverosia al fare vita sociale, a comunicare. Solamente in calce ricordiamo, tuttavia, che non sempre è possibile accettare qualcun altro, per motivi spesso non definibili. Detto in modo spicciolo, non tutte le persone con cui interagiamo ci andranno a genio; il fatto è naturalmente reciproco.
Come si inizia?
Tutto ha un inizio e una fine, ciò vale anche per le interazioni sociali, dalla semplice conoscenza fino all’amicizia vera e propria.
Come si spiega a un bambino a fare conoscenza con altri bambini?
Avete mai assistito all’elargizione di consigli a un ragazzo che desidera conoscere una ragazza?
Fare la conoscenza/fare le presentazioni sono atti di comunicazione perciò squisitamente sociali.
Si dice che la comunicazione sia un atto improbabile che tuttavia puntualmente si verifica (ad es. Luhmann): ossia il messaggio raggiunga il destinatario senza intoppi. Il destinatario avrà compreso il contenuto del messaggio?
Fare la conoscenza è un atto talmente “normale” che siamo totalmente sicuri che si verifichi e che abbia successo. Nel procedimento del fare la conoscenza, due persone si comunicano vicendevolmente chi sono, forniscono/offrono elementi della propria identità all’altro.
1- Storicismo
Durante la riflessione sull’argomento del fare la conoscenza, ci è parso ovvio dividere in maniera temporale le modalità che si possono, o si potrebbero, esperire.
Nel tempo passato (anche remoto), ricordiamo che fare la conoscenza di un altra persona (coetanea oppure più grande di età) necessitasse di una modalità formale, ossia di determinate parole e del rituale della stretta di mano.
Fare le presentazioni prevedeva spesso una terza persona che fungeva da tramite, che presentava A a B e viceversa.
Scena dal film “Amici miei” del 1975, per la regia di Mario Monicelli.
La stretta di mano
Per suggellare la relazione di conoscenza, la prassi richiedeva che le persone si stringessero la mano.
I ragazzini al campetto e per strada si stringevano la mano per convalidare la loro nuova amicizia. Forse era anche un’imitazione del gesto degli adulti.
I nostri genitori e i nonni stringevano la mano ai nuovi vicini e ai colleghi di lavoro. Si tratta (o meglio si trattava) di un gesto semplice quanto esplicito, per indicare una benevola apertura all’accoglienza, per confermare la mancanza di ostilità. La stretta di mano è parte della comunicazione non verbale, un gesto positivo dall’importante contenuto di senso.
Ambienti formali
In contesti sociali dove la formalità è normale, abbiamo osservato la persistenza del classico rituale di presentazione. In particolare, nel rapporto con persone più anziane e in ruoli di più alto livello/grado, pare che non si possa prescindere dal rispettare correttamente gli schemi previsti dal fare le presentazioni / fare la conoscenza.
Tempi giusti, parole adatte, postura ordinata, sguardo attento sono elementi semplici da osservare, per ricevere i “feedbacks” necessari. Aggiungiamo che ogni ambiente/contesto sociale possiede proprie etichette specifiche, le quali regolano le presentazioni.
Esempi
«Buongiorno, io sono Paolo, abito nella casa accanto.»
«Buongiorno a te Paolo, io sono Mario, molto lieto di fare la tua conoscenza.»
E’ sicuramente una metodologia d’apertura molto stereotipica, è un modo molto tradizionale di presentarsi e di iniziare una conversazione con una persona sconosciuta.
Lo stesso può avvenire durante un colloquio di lavoro detto appunto conoscitivo.
«Salve, lei è Paolini vero?»
«Si, buongiorno, sono qui per il colloquio di lavoro.»
«Bene, io sono il dott. Mariani, mi occupo della selezione per questa azienda. La informo preliminarmente, che questo colloquio ha solo carattere conoscitivo, qualora l’azienda avesse necessità nel prossimo futuro di una professionalità come la sua, sarà contattato per un nuovo incontro.»
Di ben altro tenore sono le opportunità di fare la conoscenza legate agli ambienti informali, come ad esempio i gruppi di amici.
«Ciao Federica, come stai?»
«Ciao Pietro, sto bene grazie.»
«Vorrei presentarti Giulia, anche lei frequenta la nostra facoltà, vorrebbe entrare nel nostro gruppo di studio.»
«Ciao Giulia, piacere di conoscerti!»
«Ciao Federica, grazie, il piacere è tutto mio.»
In questo esempio si nota una minore quantità di formalità, ma rimane comunque il rituale classico della presentazione.
Se non si può fruire della terza persona quale mediatore del fare la conoscenza, è necessario inventarsi un cosiddetto “incipit” per attirare l’attenzione di chi si vorrebbe conoscere.
«Ciao, scusa, ti è caduto il portachiavi.»
«No, non è mio!»
«Ops, scusa. Io sono Piero, sono nel gruppo giovani della parrocchia.»
«Ciao Piero, io sono Angela.»
«Vieni spesso in parrocchia? Ti ho già visto qualche volta..»
«Sono venuta a salutare una mia amica, per ora non frequento alcun gruppo.»
Non possiamo dimenticare il metodo molto più diretto che introduce:
«Non ci siamo forse già visti da qualche altra parte?»
E’ una domanda introduttiva che purtroppo non garantisce il sicuro successo del fare la conoscenza.
Creare un impegno
Per fare la conoscenza di qualcuno, è necessario attirare la sua attenzione e stabilire un impegno diretto, anche detto incontro. Implicitamente c’è un riconoscimento (conoscitivo e sociale: identificazione dell’altro e scambio di sguardi rituale) reciproco, che sta alla base della eventuale relazione (Goffman, 1971).
Occorre verificare la disponibilità a conversare di chi si vuole conoscere, a fare comunicazione, a sintonizzarsi reciprocamente.
Il primo passaggio è l’impegno a fare conversazione. Già in quel primo passo, si entra nell’ordine cerimoniale regolato da norme (la cosiddetta “etichetta”).
“Nella nostra società esiste un sistema di etichetta che permette al soggetto di utilizzare a seconda dell’occasione (degli) eventi espressivi, proiettando attraverso essi un’immagine corretta di sé, un giusto rispetto per gli altri presenti ed una considerazione adatta all’ambiente” (Goffman, 1988).
Talvolta l’impegno alla conversazione è un dovere (con un collega, con un dirigente), talvolta è un piacere (in generale con una persona che giudichiamo interessante). In entrambi i casi, la conversazione deve essere sostenuta da tutti i partecipanti, con comune impegno e fatica, proprio per il valore di complessità che caratterizza la comunicazione umana.
Se la conversazione prosegue positivamente, sono alte le probabilità che l’operazione del fare la conoscenza abbia successo.
Osservazioni
Sui sentieri di montagna esiste una consuetudine non scritta secondo cui i viandanti si salutano quando si incontrano sul sentiero. E’ facile che talvolta si fermino a parlare per chiedere informazioni sui tempi di percorrenza, sulla presenza di sorgenti d’acqua. Altrettanto facilmente, proseguono la conversazione una volta arrivati al rifugio, facendo le dovute presentazioni. Abbiamo notato che non poche persone prima sconosciute hanno continuato il cammino assieme, seguendo anche il loro percorso di conoscenza.
Le madri che si fermano a chiacchierare fuori dalla scuola (primaria o asilo) creano una connessione tra loro, chiacchierano, ma non tutte si impegnano allo stesso modo. Alcune si impegnano a fare la conoscenza, presentandosi a vicenda e scambiandosi i numeri di telefono; mentre altre decidono silenziosamente di evitarsi, eliminando ogni possibilità di legame conoscitivo.
Anche in questo ambiente, non sempre avviene una presentazione formale dichiarando il proprio nome, di frequente lo si apprende parlando con altre persone.
2 – Modernità
Rispetto al passato, nei tempi attuali, a nostro avviso sono stati tagliati alcuni elementi (dettagli) inerenti al rituale delle presentazioni. Nei numerosi contesti che frequentiamo, basta moltiplicare la presenza (anche in orari diversi) per risultare agli astanti qualcosa di più di un arredo urbano.
Aggiungiamo l’incontro degli sguardi (pure fugaci, non importa), un cenno del capo, per oltrepassare ufficialmente la soglia delle presentazioni. Si tratta della conoscenza informale, che nasce e procede senza che necessariamente i protagonisti conoscano i rispettivi nomi (Goffman, 1971).
Rimane purtroppo un solo inconveniente, senza un rituale condiviso di presentazione mancano i riferimenti all’identità dell’altro: ogni giorno salutiamo persone senza sapere il loro nome.
Alleghiamo a questa considerazione che è ben possibile non ricordare il nome dopo che la persona presentatasi se n’è andata.
A tale proposito, sosteniamo che mancano solide fondamenta per costruire una altrettanto solida frequentazione: manca il cosiddetto “ancoraggio” della nascente relazione a una base resistente di elementi quali le informazioni sull’identità offerte dall’altra persona.
Salutiamo individui conosciuti solo in modo informale. Ci si saluta solo perché si frequentano gli stessi ambienti, perché abbiamo scambiato delle occhiate, perché abbiamo (forse) dei conoscenti in comune.
Fare in fretta
La vita sociale è complicata, meglio dire complessa per via di regole non scritte, prassi contestuali, senza dimenticare la presenza di culture diverse che osservano diversi schemi sociali.
Se consideriamo la moderna vita urbana, stimolata dalle nuove tecnologie, da nuovi stili di vita veloci e informali, avanziamo l’ipotesi che anche la pratica comunicativa del fare le presentazioni/fare la conoscenza abbia subito una velocizzazione. Per rendere più veloce un’operazione è facile perdere dei dettagli, tralasciati volutamente oppure inconsciamente.
Notiamo sempre più di frequente, che per fare la conoscenza di qualcuno è sufficiente attirare la sua attenzione, con un semplice saluto: «Hei ciao!».
Si saltano i rituali formali, si consolidano le conoscenze parlando, parlando, parlando, abitualmente tralasciando lo scambio dei nomi.
«Si, stamattina ho parlato con “Coso”, fuori da scuola, si lui, come si chiama..?!»
Il distanziamento sociale, derivato dalla pandemia di COVID-19, ha sicuramente contribuito a limitare ancora di più la pratica della stretta di mano.
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