Il migrante cosmopolita

migrante cosmopolita

Cosmopolitismo e politica delle migrazioni

La società aperta all’immigrazione incontrollata

 

 

migrante cosmopolita
Il migrante cosmopolita

 

 

 

Un rifugiato è una novità, dieci un fastidio, cento una minaccia.

Proverbio americano

(K. M. Greenhill, “Armi di migrazione di massa”, LEG, Gorizia, 2017, pag. 29)

 

 

 

Ipotesi di strumentalizzazione

Senza lo straniero, senza il migrante, le organizzazioni cosmopolite non avrebbero ragione di esistere. La base di pensiero e di pratica del moderno Cosmopolitismo si fonda sull’immagine e sulla movimentazione delle persone identificate come straniero/migrante.

Nonostante nei saggi che divulgano il pensiero cosmopolita si parli di diritti umani, di libera circolazione delle persone, di governo mondiale per il bene globale, il comune denominatore di tutta la retorica cosmopolita rimane la narrazione dello straniero / del migrante quale modello della nuova società futura. E’ sufficiente osservare attentamente la propaganda mediatica sulle reti TV, sul web, sui social network.

Il tutto è correlato al famoso (o famigerato) calo demografico realmente imperante in tutto l’Occidente europeo.

Ipotizziamo pertanto che le élite cosmopolite, le loro manifestazioni politiche e relativi simpatizzanti, utilizzino in modo strumentale tutto ciò che riguarda l’ontologia dell’immigrato/migrante/profugo.

Approfondiamo l’analisi intrapresa nel precedente contributo dal titolo “Lo straniero nel pensiero cosmopolita”.

 

La propaganda dell’accoglienza cosmopolita

 

 

L’eroe cosmopolita

L’immigrato, meglio detto “migrante” dalla grande stampa, è il nuovo vero cittadino del mondo, è l’eroe cosmopolita al pari dello straniero classico. Colui che ha attraversato vasti territori, superato indicibili difficoltà e sofferenze per approdare in Occidente e dare a tutti una lezione fieramente cosmopolita.

Al contrario, l’occidentale l’europeo l’italiano sono sempre meno cosmopoliti nella sostanza, diventano cittadini del mondo solo se si connettono a internet, oppure quando viaggiano a New York o a Bangkok.

Le élite cosmopolite privilegiano lo straniero migrante, lo raccontano come il nuovo che avanza, la persona scevra da condizionamenti, perfetta per la globalizzazione, idonea al lavoro dequalificato.

Il cittadino nativo è decadente, è obsoleto, è in crisi di identità.

 

 

Lo straniero trasfigurato

L’identità antropologica dello straniero è stata cifrata nell’immigrato, specialmente africano, mediorientale, arabo. Nella fattispecie attuale, immigrato è sinonimo di migrante, clandestino, profugo, rifugiato, eccetera.

Nel segno della comunicazione politicamente corretta, i mass media dettano le regole di definizione delle persone: da clandestino a immigrato, a migrante, a profugo. Che abbiano o meno le caratteristiche specifiche per legge dello status di profugo/rifugiato non importa, l’Opinione Pubblica deve essere rassicurata.

Quotidianamente, scorrono notizie riguardanti il migrante cosmopolita che si affaccia in Europa, accampando il diritto all’ospitalità.

 

Il dovere dell’ospitalità

L’ospitalità è una tradizione e un imperativo morale per tutte le culture” (C. Caldwell, “L’ultima rivoluzione dell’Europa”, Garzanti, Milano, 2009, pag. 83).

Nella Bibbia cristiana se ne parla abbondantemente, nel Vecchio Testamento (Levitico) come nel Nuovo Testamento (Vangelo di Matteo).

La riflessione dei filosofi cosmopoliti si è appropriata dell’invito all’accoglienza degli stranieri, partendo dall’annuncio evangelico e messianico, per arrivare all’emancipazione laica che permea gli ordinamenti giuridici europei e della stessa carta costituzionale europea (A. Colombo, “Il processo cosmopolitico, le sue radici storiche e religiose”, in L. Tundo Ferente, “Cosmopolitismo contemporaneo”, Morlacchi, Perugia, 2009, pag. 28-32).

 

L’ospitalità è temporanea

L’ospitalità è un rituale temporaneo, è nata nei tempi antichi con lo scopo di prestare assistenza a viaggiatori, pellegrini, viandanti e mercanti. La cortesia concessa all’ospite non può però durare a lungo, la sussistenza del forestiero potrebbe gravare in modo pesante sulle spalle degli ospitanti. Diventa fondamentale smascherare gli opportunisti.

Essendo l’immigrato uno straniero a tutti gli effetti, valgono anche per lui le stesse regole antropologiche del rituale di ospitalità.

Gli immigrati sono rimasti abbastanza a lungo da perdere il loro ruolo ritualizzato di ‘ospiti’ e con esso anche il diritto all’ospitalità. (…)

E’ sbalorditivo quanto tempo abbiano impiegato gli europei a capire che gli immigrati si erano stabiliti in Europa per sempre” (C. Caldwell, “L’ultima rivoluzione dell’Europa”, Garzanti, Milano, 2009, pag. 86).

Il “Gastarbeiter” della tradizione tedesca rende bene l’idea del concetto: lavoratore ospite, condizione che non prevedeva la stabilizzazione duratura.

Il Cosmopolitismo ha lavorato negli anni per propagandare l’idea della necessità e della bellezza dell’accoglienza, per convincere l’Opinione Pubblica a “fare la cosa giusta” (Ibidem, pag. 114).

 

 

Asilo politico e protezione del rifugiato

L’antico dovere dell’ospitalità è stato modernizzato nell’istituto burocratico dell’asilo politico. E’ stato mitizzato a seguito della storia della Seconda Guerra Mondiale. A ricordo dei profughi ebrei, l’Occidente ha adottato la prassi di non negare a nessuno l’accoglienza.

Bastava provenire da una zona di guerra per trovare una sistemazione in Europa a spese dei governi. (…) Spesso il governo continuava a mantenere anche i rifugiati (con relative famiglie) a cui aveva negato il diritto d’asilo, qualora questi decidessero di non rientrare nei paesi d’origine. Ordinare loro di tornare a casa sembrava una violazione della suprema legge dell’ospitalità” (Ibidem, 87-88).

Nell’ambiente umanitario, le organizzazioni cosmopolite (non governative e simili) si sono date un gran daffare per promuovere l’accoglienza, anche dal punto di vista propagandistico. L’ospitalità ai profughi è uno dei manifesti del Cosmopolitismo contemporaneo.

Non sempre il migrante cosmopolita ha manifestato l’onestà sbandierata dagli attivisti: privo dei documenti, dichiarava spesso un’identità e una provenienza di comodo, si procurava elementi per una storia tremenda da raccontare ai funzionari a destinazione (Ibidem, pag. 90-91).

L’alta percentuale di rigetto delle domande di asilo, osservabile presso gli uffici preposti al loro esame (Ibidem, pag. 92), conferma l’analisi oggettiva di cui sopra, che però non tutta la stampa offre al pubblico.

Qui sta uno dei punti più importanti della disamina del problema: da una parte abbiamo gli attivisti cosmopoliti che premono con ogni mezzo per l’entrata del migrante, dall’altra parte ci sono le leggi nazionali e le reali capacità di assorbimento del paese ospitante.

 

 

Opera moralizzatrice

La propaganda degli attori cosmopoliti insiste sui meriti della società multiculturale.

Il meccanismo prevede una massiccia opera moralizzatrice, intesa a valorizzare in modo spasmodico tutto ciò che arriva dall’esterno dei confini: dalle opportunità della globalizzazione, alle culture degli stessi migranti.

Ora gli occidentali tendono quasi automaticamente a pensare che le cose famigliari, tradizionali e occidentali siano da rifiutare; mentre tutto ciò che è straniero e mette a disagio sia al contrario da proteggere” (Ibidem, pag. 118).

Pertanto, si osservano altrettante opere di difesa degli immigrati, qualsiasi cosa facciano. Il primo passo è la diffusione di slogan moralisti, del tipo “Stranieri non lasciateci soli con gli italiani!”. Esistono versioni che sostituiscono la parola “stranieri” con “immigrati” o con “migranti”.

Anche in Germania sono state osservate azioni propagandistiche analoghe.

La difesa degli immigrati si presenta con un habitus moralizzante che quanto a presunzione non lascia nulla a desiderare.

Se spinto abbastanza in là, il rovesciamento del pregiudizio può arrivare fino alla discriminazione della maggioranza” (H. M. Enzensberger, “La grande migrazione”, Einaudi, Torino, 1993, pag. 39).

 

 

Moralizzazione cosmopolita

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Azioni mediatiche a favore del migrante cosmopolita

I “testimonial” cosmopoliti conducono una campagna mediatica senza sosta, su numerosi canali televisivi, usando gli slogan di moda.

Il punto pare proprio questo: propaganda social media non per le persone quanto piuttosto per l’ideale cosmopolita.

E’ un continuo appello in particolare sulla stampa orientata, non solo a favore dell’immigrazione come ideale, in quanto panacea dei mali sociali italiani e occidentali, ma si tratta anche di un appello a prendere posizione contro gli avversari (politici e sociali) che dissentono, che si manifestano contrari.

Un gruppo di “testimonial” e di attivisti politici ha promosso un manifesto, chiamando a raccolta la Società Civile, naturalmente per la sensibilizzazione a favore della causa del migrante cosmopolita.

A ben guardare, pare però che tutta l’operazione mediatica serva più che altro a ingrandire la visibilità degli stessi “testimonial”.

 

Accademici di parte

Sono numerosi i saggi pubblicati da altrettanto numerosi ricercatori accademici, che hanno preso posizione nettamente a favore dei migranti/immigrati, sostenendone l’assoluta buona fede e impunità (si veda U. Melotti, a cura di, “L’abbaglio multiculturale”, SEAM, Roma, 2000, pag. 34-36, 40).

Quei ricercatori, di qualsiasi livello, forniscono elenchi di attenuanti a supporto dell’ipergiustificazionismo affermando che il migrante è solo, emarginato, non conosce la lingua, è culturalmente agli antipodi, la società ospitante è fondamentalmente razzista.

Per avere un idea della tensione ideologica a favore del migrante cosmopolita e della sua impunità, si legga il saggio dal titolo Razzismo democratico.

 

Antirazzismo moralista istituzionale

La politica di marca cosmopolita usa abbondantemente l’arma dell’antirazzismo, per giustificare ogni azione a livello sociale.

L’antirazzismo contemporaneo è la vera novità del panorama sociale europeo, esiste “come ombra portata dal cosmopolitismo. (…) Attualmente si può dire che la norma sociale e culturale è antirazzista, e questo nel mondo intero. L’ideale antirazzista è mondializzato.

Esistono le istituzioni che lo dimostrano, l’ONU, l’UNESCO… e un insieme di testi prodotti dalla comunità europea che testimoniano di questa elezione dell’antirazzismo a norma incondizionata. La lotta contro il razzismo è stata istituzionalizzata.” (P. A. Taguieff, “Cosmopolitismo e nuovi razzismi”, Mimesis, Milano, 2003, pag. 14).

La cosiddetta ideologia della tolleranza si è allargata, espansa, includendo sempre più categorie di persone a beneficiare della protezione antirazzista (C. Caldwell, “L’ultima rivoluzione dell’Europa”, Garzanti, Milano, 2009, pag. 102).

I cosmopoliti invocano il razzismo degli italiani (U. Melotti, a cura di, “L’abbaglio multiculturale”, SEAM, Roma, 2000, pag. 37-38), per idealizzare la realtà immigratoria, per scagionare i migranti/immigrati.

L’italiano nativo diventa un capo espiatorio facile, che in base all’ordinamento giuridico deve provare in prima persona di essere innocente, a seguito dell’accusa di essere razzista.

Il fortunato slogan “Aprite i porti!” è stato qualificato apertamente come “anti-razzista”. Tutti sono chiamati a condividerlo in ogni ambiente.

 

Obbligati ad accogliere?

L’esemplare, quanto pervicace, attaccamento dei soggetti cosmopoliti alla sorte dello straniero migrante non può né deve distogliere l’osservatore dal doveroso senso critico.

Negli ultimi anni, gli afflussi migratori verso l’Europa – da quello che vent’anni fa era chiamato il Terzo Mondo – stanno inesorabilmente cambiando la struttura sociale dei Paesi ospitanti.

Cambiano le allocazioni delle risorse (alloggi, assistenza sociale, accesso alla sanità pubblica), cambiano gli ambienti urbani come il mercato rionale, il quartiere e il vicinato, si creano ghetti etnici.

Gli osservatori più attenti pongono la domanda: “a chi giova il cambiamento creato dalle migrazioni/immigrazioni?” (si veda S. P. Huntington, “Lo scontro delle civiltà”, Garzanti, Milano, 2001, pag. 124-140 relative ai mutamenti sociali ed etnici).

Siamo sul serio di fronte alla recrudescenza del razzismo e alla deriva dell’accoglienza?

Oppure invece le fasce sociali più basse si muovono contro un pericolo alla loro stessa sopravvivenza?

La dottrina cosmopolita non risponde a quelle domande, semplicemente orienta l’Opinione Pubblica alla morale dell’accoglienza illimitata, favorisce la propaganda dei vantaggi portati dall’immigrazione, ignora i conflitti creati dalla non civile convivenza tra i nativi e le etnie immigrate (immigrazionismo), non si cura della sistemazione dei migranti cosmopoliti.

 

L’affare cosmopolita

Non è facile dimostrare la mala fede dell’organizzazione cosmopolita, tuttavia alcuni studiosi ci hanno provato.

Nella manipolata sordità dell’Opinione Pubblica, sono stati pubblicati saggi e inchieste molto interessanti. Complice il notorio e famigerato disinteresse del vasto pubblico italiano verso i temi letterari (leggasi l’arcinota descrizione degli italiani come scarsi lettori), la maggior parte delle ricerche sociali sono rimaste sconosciute.

Nel testo dal titolo “Armi di migrazione di massa”, l’accademica statunitense Kelly M. Greenhill argomenta la tesi secondo cui le migrazioni “sarebbero” manipolate in modo politico dalle élite (cosmopolite), per ottenere guadagni di vario genere. Si tratta di creare pressioni di varia entità sui Paesi meta di migrazioni, per costringerli a elargire concessioni a quei Paesi da cui partono gli aspiranti profughi.

Un esempio storico è l’accordo stipulato dall’Unione Europea con la Libia di Gheddafi nell’ottobre 2004, per arrestare il crescente afflusso di nordafricani e mediorientali assiepati nei porti libici pronti per salpare verso Italia e Spagna (K. M. Greenhill, “Armi di migrazione di massa”, LEG, Gorizia, 2017, pag. 29). Gheddafi ottenne l’abolizione delle rimanenti sanzioni europee e perciò il miglioramento della situazione economica.

Altri esempi sono la crisi cubana del 1994 (Ibidem, pag. 125), la guerra del Kosovo (Ibidem, pag. 197), la crisi di Haiti (Ibidem, pag. 261).

Non possiamo dimenticare l’accordo dell’Unione Europea con la Turchia di Erdogan, per impedire la partenza di quattro milioni di rifugiati siriani verso le coste greche e italiane. La Turchia ha costantemente rinfacciato alla UE il patto siglato e posto ulteriori richieste.

Sono le abilità diplomatiche e strategiche di un Paese a determinare il successo o l’insuccesso delle persuasioni di carattere migratorio, esercitate dagli Stati che ne fanno uso.

La propaganda del Cosmopolitismo è parte della strategia: politici, intellettuali (veri o presunti), artisti e simili fanno da “testimonial” sui media di massa a favore dell’accoglienza, per convincere l’Opinione Pubblica “a fare la scelta moralmente giusta”.

Dove non riesce il cosmopolitismo moralista, giungono le altre strutture cosmopolite: le ONG, gli accordi internazionali, il neo-colonialismo francese e cinese.

 

Il guadagno cosmopolita

Accogliere gli stranieri significa dare loro un alloggio, vestiti, ma prima ancora cibo e denaro per i primi acquisti. La propaganda cosmopolita non risponde alle domande create dopo l’arrivo nei Paesi di destinazione, si limita solamente a caldeggiare, sostenere, incentivare l’apertura delle frontiere, dei porti, la creazione di ponti e qualsiasi altro varco che permetta la libera circolazione delle persone, ovunque in Occidente.

In tale contesto, viene deviato il pensiero di alcuni filosofi che intendono il Cosmopolitismo come allargamento dei diritti umani a tutti gli uomini e a tutte le donne nel proprio Paese (A. Taraborrelli, “Il cosmopolitismo contemporaneo”, Laterza, Roma-Bari, 2011, pag. 14-15).

I sostenitori del Cosmopolitismo, manovali e “testimonial”, evitano di farsi coinvolgere nel dibattito sulla sistemazione, così come definiscono “razzista” la domanda su cosa guadagna il movimento cosmopolita dal flusso degli stranieri immigrati.

Ma il movimento cosmopolita ci guadagna eccome, se negli anni i vari Stati europei hanno stanziato svariati milioni di euro per la sistemazione e la gestione degli stranieri. Le inchieste giornalistiche sono fioccate in gran numero, riprese e rilette migliaia di volte da altrettanti utenti sul web.

Guadagnano le organizzazioni locali che, ufficialmente o meno, sono di ispirazione cosmopolita. Oltre a ciò, non possiamo tralasciare i vantaggi politici, elettorali e di immagine prodotti dalle campagne mediatiche “pro-immigrati”.

ONG e indaginiVerso l’archiviazione, Ridotte le risorse per l’accoglienza.

 

 

Perché i rappresentanti cosmopoliti desiderano la società aperta e l’immigrazione incontrollata?

Rispondere a questa domanda non è semplice, possiamo solo fare delle ipotesi.

Ipotesi #1: ripopolamento e demografia;

Ipotesi #2: disponibilità di manodopera a basso costo (l’esercito industriale di riserva);

Ipotesi #3: nuovi cittadini che diventano nuovi consumatori;

Ipotesi #4: nuovo bacino elettorale per la politica cosmopolita e globalista;

Ipotesi #5: strumentalizzazione ai fini sociali e politici.

 

Un problema sociale

Il migrante in sé non rappresenta un problema sociale, lo potrebbe diventare qualora si verificassero determinate condizioni. Ne abbiamo delineate alcune.

  • I migranti diventano troppi.
  • La società di accoglienza non ha i mezzi per assorbire il migrante.
  • Il migrante non rispetta le norme e le leggi del paese che lo ospita.
  • Il migrante delinque.
  • Non rispetta gli usi e i costumi locali.
  • Non accetta la civile convivenza.
  • Il migrante si stabilizza da disoccupato, vivendo di sussidi pubblici.

Parimenti, il migrante cosmopolita diventa un problema sociale se è strumentalizzato dalla politica cosmopolita per i suoi scopi (elettorali, politici, economici), dai simpatizzanti cosmopoliti ai fini di demonizzare gli avversari.

 

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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