Parassita sociale

Parassita sociale

Una riflessione politicamente scorretta

 

 

Parassita sociale

 

 

Parassitismo sociale

 

Il «parassitismo sociale è un dispregiativo usato contro un gruppo o una classe che si considera essere dannosa alla società. Il termine deriva dal greco antico» (Wikipedia).

 

Non abbiamo trovato grandi riferimenti bibliografici relativi al problema del parassitismo sociale, in nessuno dei saggi in nostro possesso. Abbiamo preso spunto dal sempiterno sito di Wikipedia, per constatare come il termine parassitismo/parassita sociale fosse importante nell’agenda sovietica, attorno agli anni ’60 del ‘900. Pertanto potremmo definirlo più un argomento ideologico e storico e meno un tema trattato dalle scienze sociali più conosciute.

Se proseguiamo la riflessione sul parassitismo sociale in termini storici, abbiamo la possibilità di evidenziare quanta discriminazione abbia arrecato a certe categorie (sociali). Una di queste è la categoria dei poveri.

Il povero è stato considerato un inabile e un indolente da certi rappresentanti delle classi abbienti, pertanto un parassita sociale, capace solo di sfruttare il sistema mendicando e arrecando fastidio ai lavoratori. Gli studi sociali hanno confutato quella visione distorta della realtà.

Rimane apparentemente un certo disagio da parte di studiosi (spesso accademici) e intellettuali assortiti di fronte alla parola parassita sociale, nell’età contemporanea. Probabilmente si tratta di igiene verbale, forse abbiamo di fronte un tabù ideologico.

 

Excursus naturale

In natura esistono numerosi esseri viventi che prosperano sulle spalle di altri esseri viventi. Pidocchi, zanzare, zecche eccetera sono semplici esempi di esseri viventi che sfruttano la vita altrui per conservare la propria. Non lavorano per ottenere risorse in modo autonomo, bensì le rubano ad altri.

Gli esseri viventi parassiti non riscuotono un biasimo di tipo morale, poiché in natura sono anch’essi parte dell’intero complesso sistema in cui vivono, in altre parole anche i parassiti in natura hanno il loro motivo di esistere.

Di ben altro tenore è l’immagine del parassita nel mondo sociale umano.

 

Vivere sulle spalle di altri

Non è infrequente incontrare persone che, oggettivamente, sfruttano il lavoro altrui per ottenere vantaggi personali. Oppure risparmiano i loro sforzi ottenendo gli stessi compensi di altri colleghi. Allo stesso modo, dovremmo catalogare chi “scrocca” beni e servizi senza pagarne il corrispettivo. Succede in tutti gli ambienti sociali, o in quasi tutti.

 

Assenza di controlli

Abbiamo notato che lo sfruttamento avviene più facilmente laddove i controlli sono minori o del tutto inesistenti. Talvolta, chi dovrebbe controllare e denunciare i comportamenti scorretti omette di farlo, perché anch’egli ottiene vantaggi personali (ad esempio nessuno indaga su di lui).

 

Definizione scontata

Vogliamo chiamare parassita sociale la persona che beneficia delle risorse altrui, senza pagarne i costi, senza collaborare al processo per la loro produzione. È sociale perché grazie alle interazioni ottiene ciò che vuole, inoltre perché le conseguenze dei suoi gesti si diffondono nella collettività di riferimento.

Almeno a chiacchiere, il parassita sociale è coperto dal biasimo generale, il suo comportamento è definito come immorale, riprovevole. Egli è anti sociale, non collaborativo, rappresenta a grandi linee un peso per l’intera collettività.

Nonostante la sua cattiva fama, egli prosegue imperterrito la sua vita senza grandi ostacoli.

Sottolineiamo nuovamente che il termine parassita sociale rimanda a un argomento evitato dalle scienze sociali che conosciamo, non è presente nella comunicazione pubblica, bensì ricorre più facilmente nella comunicazione informale, al riparo da orecchi indiscreti.

 

Il free rider

In un teorico sistema nel quale si producono e si distribuiscono risorse, esistono aspettative di un largo contributo per il benessere collettivo. Una squadra di giocatori è l’esempio migliore di cooperazione per il raggiungimento dei migliori obiettivi, a vantaggio di tutti. Tuttavia, nella realtà sociale, “qualcosa” va storto, la cooperazione non si realizza appieno.

«In un sistema dove ci sono risorse comuni che i singoli possono utilizzare anche senza contribuire, i cosiddetti free rider, coloro cioè che non contribuiscono, massimizzano il proprio profitto» (N. Cavazza, 2012).

Il viaggiatore che non paga il biglietto sull’autobus, il lavoratore assenteista e quello che non contribuisce al lavoro di gruppo, il politico chiacchierone aggrappato alla poltrona incapace di dare un qualsivoglia contributo.

Il sistema implode quando i free riders diventano la maggioranza, esaurendo il bene comune traendo vantaggio personale.

Il free rider è un tipo di parassita sociale.

 

Free rider o scroccone

 

Esempi intermedi

Nel variegato panorama del parassitismo sociale, vivono personalità molto attive e capaci di raccogliere benefici altrettanto variegati.

Poco considerati e molto tollerati sono i personaggi che chiedono in prestito oggetti di uso comune, dimenticando infine di restituirli: libri, attrezzi per il fai-da-te, fotocamere, strumenti musicali. Non di meno, ricordiamo i prestiti di beni alimentari di cui è fatta domanda quotidiana o quasi: uova, farina, zucchero, cibo in scatola, eccetera. Chi presta si vede sottrarre delle risorse; chi incamera le risorse risparmia, ne sposta i costi sul proprio benefattore.

 

Farsi prestare un libro, ma dimenticare di restituirlo

 

All’Università, c’era chi alloggiava in stanze del campus, pagando cifre bassissime, nonostante i genitori fossero più che facoltosi.

Spesso, fuori dagli asili, parlando con altri genitori scopriamo che non sono pochi coloro che, per ottenere agevolazioni sulle rette scolastiche, truccano la dichiarazione ISEE, non dichiarando tutti i propri redditi.

In questi esempi abbiamo evidenziato personalità non portatrici di vera povertà, bensì abbiamo delineato modelli di approfittatori seriali, che inseriamo senz’altro nell’insieme dei parassiti sociali.

 

Assistenzialismo

È un tema molto delicato, per via dei soggetti che include nel suo insieme. Lo stato assistenziale (Welfare State) è il complicato sistema che si prefigge di sostenere persone in difficoltà, meno abbienti, povere e bisognose. Dai buoni pasto, all’alloggio residenziale pubblico, all’assistenza sanitaria, persone di diversa estrazione sociale ricevono servizi di aiuto per le proprie necessità che chiamiamo primarie.

Non vogliamo entrare nello specifico perché l’argomento è molto vasto, ci basta segnalare che le attività realizzate dai vari operatori (pubblici e privati) risolvono problemi piccoli e grandi per numerose persone in difficoltà.

All’interno del grande sistema assistenziale osserviamo ampie sacche di assistenzialismo, ossia insiemi di persone che ottengono risorse senza averne diritto.

L’esempio più diretto riguarda i lavoratori in nero (ma anche veri e propri delinquenti) che chiedono e ottengono sussidi di disoccupazione, il reddito di cittadinanza (tanto discusso), aiuti vari da associazioni di volontariato, i finti poveri, i falsi invalidi.

Anche costoro potrebbero essere definiti parassiti sociali, in quanto percepiscono risorse indebitamente.

 

Immigrati stranieri

La società civile non ama ascoltare discorsi nei quali si associano comportamenti scorretti agli immigrati stranieri. In particolare, la fronda cosmopolita di qualsiasi società occidentale non ammette che lo straniero sia accostato all’anti socialità.

Nella realtà dei fatti, anche gli immigrati stranieri annoverano nei loro gruppi personaggi che praticano il parassitismo sociale.

L’immigrato straniero è un essere umano, pertanto anch’egli può tranquillamente dimostrare di essere un parassita sociale. A beneficio della comunicazione politicamente corretta aggiungiamo che, naturalmente, non tutti gli immigrati sono parassiti sociali, ma solo una percentuale (non calcolabile) di loro lo è.

Nella nostra indagine dal titolo “Il pellegrinaggio assistenziale”, abbiamo evidenziato che talune categorie di immigrati stranieri siano inclini allo sfruttamento di tutte le associazioni di assistenza locali e nazionali. L’obiettivo è raccogliere quanti più beni e servizi possibili, presso le strutture assistenziali: beni di prima necessità, buoni pasto, vestiti, prodotti per l’igiene, alloggi residenziali pubblici.

Tale consuetudine è conosciuta dagli operatori che vi lavorano, essa non prevede sanzioni legali, esiste ampia tolleranza. Tuttavia, essendo limitate le risorse oggettive a disposizione degli utenti che ne fanno richiesta, è facile che le persone in reale stato di bisogno se le vedano “soffiare” da chi non ne avrebbe diritto. Abbiamo osservato direttamente diverse persone immigrate con un lavoro, fare il giro delle varie associazioni locali a racimolare prodotti vari, risparmiando le corrispondenti spese.

 

Sul luogo di lavoro

Sappiamo che i settori di lavoro si dividono in privati e pubblici. Le aziende private perseguono il profitto degli imprenditori che vi investono i propri denari, le aziende pubbliche dovrebbero perseguire il raggiungimento di un risultato collettivo, come ad esempio la sanità pubblica o i servizi al cittadino offerti dalle amministrazioni comunali.

Nelle aziende private, eventuali lavoratori scorretti vengono espulsi se individuati; nelle aziende pubbliche ciò è di gran lunga più difficile.

Basta interpellare amici e conoscenti, o addirittura parenti, che lavorano nel settore pubblico per raccogliere informazioni coerenti con la precedente affermazione. Pare proprio che dalle notizie raccolte si confermi che il maggiore numero di parassiti sociali si annidino nelle aziende pubbliche.

Si tratta di esempi che rimandano a comportamenti anti sociali, anti collettivi, egoistici. L’impiegato nascosto in un meandro dell’ufficio a farsi gli affari propri, il lavoratore che timbra il cartellino (suo e magari di altri) e poi si dilegua, lo specialista che finge di essere colto da una malattia (generica) e sta a casa (forse, più facilmente va al mare), dipendenti che si buttano in politica e disertano il luogo di lavoro.

I casi che si verificano e che potrebbero essere raccontati sono diversi e numerosi, ogni luogo di lavoro pubblico potrebbe contribuire con vari episodi.

Il lavoratore pubblico che ottiene uno stipendio senza dare in corrispettivo il proprio onesto lavoro per noi è un parassita sociale. Egli pesa sul sistema che dovrebbe contribuire a fare funzionare nel migliore dei modi, per il bene della collettività.

Il gioco del parassita sociale funziona finché non si attivano i dovuti controlli, finché i dirigenti non smettono di chiudere gli occhi.

 

Parassita sociale scoperto

 

La questione morale

 

«Che politica e morale non siano andate sempre e non vanno perfettamente d’accordo, non stupisce ormai nessuno, tanto più che, sul piano dell’esperienza storica, la politica può configurarsi come a-morale e la morale come a-politica» (P. Venditti, 1989).

 

La politica rappresenta lo specchio del Paese, si sentiva dire tempo addietro, di sicuro rappresenta un forte esempio per i cittadini. Certe pratiche parassitarie dei politici sdoganano (o potrebbero sdoganare) altrettanti comportamenti di certi cittadini, che si sentono liberi e giustificati.

Pensioni e vitalizi “guadagnati” con pochi anni di presenza nelle Istituzioni, assenteismo e inoperosità, conti pagati, altri privilegi mostrano quanto sia evidente agli osservatori che la questione morale è improrogabile, quanto di fatto generalmente rimandata.

Talvolta o forse spesso (come parrebbe all’opinione pubblica), i personaggi politici accusati di nefandezze rimangono impuniti. I cavilli e le complicate trame giurisdizionali possono permettere all’accusato di prendere tempo e magari di non dover rendere conto appieno delle sue responsabilità.

Certa parte della politica diventa, pertanto, un esempio di parassitismo sociale da analizzare. Il politico irresponsabile non ha morale, tutta la politica è a-morale poiché ne rigetta qualsiasi aspetto. Solo la facciata interessa, la comunicazione politicamente corretta, rassicurante.

 

parassita sociale
La macchietta Cetto La Qualunque, modello del politico parassita sociale.

 

Moralismo

Un individuo che si prende l’impegno, per senso civico e morale appunto, di contestare pratiche scorrette a chiunque, si prende l’insulto politicamente corretto: di essere un moralista.

Si sente aggiungere bellamente: «perché non ti fai gli affari tuoi? Non sei meglio di me!».

Si tratta di una tecnica comunicativa comune, ossia di rimandare indietro le accuse, tentando di chiudere la bocca a chi non accetta le nefandezze.

In bocca alla politica colta con le mani nella marmellata si nota la famigerata parola: “giustizialismo”. «Siamo contro il giustizialismo» affermano i sospettati, per significare che non accettano giustizie sommarie e severe sulla base di accuse, che ovviamente ritengono infondate.

 

 

Immorale

Non è necessariamente un delinquente, un criminale, salvo i casi descritti dalla cronaca giornalistica che raccontano di reati quali la corruzione, la concussione, l’evasione fiscale, lo spaccio di stupefacenti e la prostituzione.

Il parassita sociale più diffuso è parte di un insieme vasto che annovera comportamenti comunemente tollerati dall’opinione pubblica. Si tratta di azioni non sanzionate (o derubricate) dal sistema giuridico, ma comunque moralmente inaccettabili.

Fare finta di essere povero e richiedere aiuti alla Caritas non prevede sanzioni legali, ma è immorale perché sottrae risorse utili a chi davvero ne ha bisogno.

Non pagare il biglietto sull’autobus e vantarsi di farla franca è un pessimo comportamento. Fare finta di lavorare e dare il meno impegno possibile, perché «tanto nessuno controlla e faccio quel che mi pare» significa portare a casa uno stipendio gratis.

«Quel maledetto di Federico si prende lo stipendio per non far niente!». Non sappiamo chi sia quel Federico, ma di sicuro non gode delle simpatie della donna che lo citava al telefono, per strada non curante dei passanti, piena di rabbia.

 

Problema morale

Riteniamo che il caso del parassita sociale non sia trattato solidamente in letteratura proprio perché rimanda a un problema morale, di coscienza. E forse la morale non è interessante per il grande pubblico, forse nemmeno per le scienze sociali in generale. Rimane quindi un tema storico, antico, retaggio di un passato preideologico.

 

Tolleranza

Dal problema morale ci sembra obbligatorio passare a quello della tolleranza. La capacità di tollerare comportamenti anti sociali ci potrebbe permettere di valutare la tenuta del sistema.

Pertanto, formuliamo qualche domanda:

qual è la soglia oltre la quale il parassitismo sociale non potrà più essere tollerato?

La tolleranza degli esponenti del politicamente corretto verso il parassita sociale è infinita?

Se è così, per quale motivo sono così benevoli verso il parassita sociale?

Esistono parassiti sociali di serie A e di serie B?

I cosiddetti benefattori rimarranno sempre ignorati e vilipesi?

 

 

 

Riferimenti e letture

N. Cavazza, “Pettegolezzi e reputazione”, Il Mulino, Bologna, 2012, pag. 38

G. Gennaro, “Manuale di sociologia della devianza”, F. Angeli, Milano, 1998

R. De Monticelli, “La questione morale”, R. Cortina, Milano, 2010

P. Venditti, “Morale e politica”, Quattroventi, Urbino, 1989

D. Rei, “Oltre il Welfare”, Gruppo Abele, Torino, 1989

 

 

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Pubblicato da Il Sociale Pensa

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