Inverno

L’Inverno è una stagione emozionale

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Inverno

Inverno da sempre significa pioggia, neve, gelo. Inverno significa freddo, è la brutta stagione. Si esce poco, si tende a passare più tempo al chiuso, in casa o altrove. Prima che arrivasse la televisione, con tutto il suo ingombro, durante la brutta stagione ci si dedicava ai lavori in casa, alle letture.

Nei secoli passati, l’inverno prese la qualifica di “generale”, perché con le sue specialità, creò grandi complicazioni a grandi eserciti, come a quello napoleonico e tedesco. Il generale inverno piegò gli eserciti, si dimostrò un prezioso alleato di chi seppe arruolarlo.

L’inverno è affascinante, può avvolgere di mistero luoghi e storie. L’inverno è anche uno stato dell’anima, della mente, si associa bene alla notte, perché ne condivide un elemento, il buio. Le giornate si accorciano, le luci della città si accendono presto.

Non si tratta necessariamente di uno stato negativo. L’obbligo metereologico di rimanere al chiuso, consente di fermarsi, di riflettere, di ordinare i pensieri. Anche di creare qualcosa, con le mani o con la penna.

L’inverno sollecita grandi dormite, è soporifero. Evoca tuttavia ricordi dell’infanzia, della vita famigliare. La mamma seduta davanti al camino, lavorava a maglia. Creava morbidi maglioni di lana per i mesi più freddi. I suoi caldi calzettoni erano un veloce sollievo per il raffreddore.

Il nonno usava una vecchia stufa a legna, perfettamente funzionante. Vi mettevamo ad asciugare i vestiti bagnati, dopo ore passate sulla neve.

La nonna andava in cantina a prendere le sue provviste per cucinare, vestita con un pesante scialle di lana. Il freddo non rovinava il suo sorriso.

Aiutavamo il babbo a spalare la neve, dalla porta di casa fino alla strada.

Poi la slitta sulla neve, in giro con gli amici del quartiere, si tornava quando i lampioni si accendevano. Poi la cioccolata calda, che la mamma preparava in cucina ma che potevamo bere sul divano.

Che freddo faceva quando eravamo piccoli. Uscivamo con i pantaloni del pigiama sotto i pantaloni normali. Mettevamo la berretta di lana, la sciarpa, un grosso cappotto. Il vento sibilava, correva gelido e veloce, ci faceva le guance tutte rosse. Andare a scuola la mattina presto era sconvolgente. C’erano tetri nuvoloni, spesso pioveva, dovevamo evitare le pozzanghere per strada e il fango. Non ci volevamo ammalare.

Crescendo d’età, cambia la percezione delle attività atmosferiche. Ci ammalavamo di meno, uscivamo di più. Si andava a giocare a pallone anche con temperature sotto lo zero. Facevamo corse in bicicletta, contro il vento. Si aspettava quella o l’altra ragazza fuori, per minuti lunghissimi.

Vogliamo forse dimenticare il Santo Natale? La ricorrenza più famosa dell’anno è un tutt’uno con l’Inverno, ne sancisce l’inizio. Il compleanno di Gesù, per noi in Occidente, è parte integrante della stagione e delle sue emozioni. Il Presepe, le luci, gli addobbi, gli auguri. Finite le feste, rimane la parte metereologica.

Rimangono le fotografie, finestre luminose su periodi pressoché dimenticati. Riportano alla mente l’inverno del “nevone”, l’inverno dell’84, l’inverno del ’90, l’inverno degli amici. L’inverno passato nei militari. E’ e rimane sempre l’inverno degli affetti.

Ma ora? Cosa si può dire di questi anni recenti?

L’inverno non c’è più, se n’è andato. La brutta stagione forse si è presa una vacanza, si è offesa. L’inverno è assente, giustificato però.

Il cambiamento climatico, l’inquinamento e chissà quale altra diavoleria hanno alterato l’inverno, riducendolo ad una sbiadita fotocopia di sé stesso.

Da Dicembre a Marzo, si alternano brevi tratti di freddo con lunghi periodi di tepore innaturale. Anche la pioggia sembra essersene andata altrove. La neve poi, chi l’ha più vista.

La brutta stagione è stata smembrata e mangiata un po’ dall’autunno, un po’ dalla primavera. Non ha più carattere, è una stagione mite, indebolita. Non ha molto senso mangiare la polenta, i fagioli con la salsiccia, tutti quei buonissimi piatti, molto calorici, tipici della stagione fredda. Pare davvero che anche la cucina casalinga abbia perso una spalla.

I nonni, in dialetto, dicevano che bisogna prendere quel che arriva. Non si può scegliere. Facciamo buon viso a cattivo gioco, senza andare a scomodare le conseguenze negative del freddo perso. Un inverno mite lascia dei guai all’estate che lo segue.

Rimane solo da salutare l’Inverno, come un amico o un conoscente, sperando che torni presto con la sua vera identità.

Arrivederci Inverno.

Sappiamo tutti che c’è gente che non ti ama, però se manchi quando è il tuo turno, se ne accorgeranno per forza, prima o poi.

Il cambiamento climatico – parte 1

Il cambiamento climatico – parte 2

Poesie dedicate

Pubblicato da Il Sociale Pensa

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